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“Sui migranti in Albania il governo ha paura della Corte di giustizia europea, per questo rinuncia ai ricorsi contro i giudici di Catania”

Il destino del cosiddetto decreto Cutro e di quanto il governo si appresta a fare anche nei centri per migranti in Albania, è legato a una questione giuridica a dir poco complessa, al centro dei rapporti tra le leggi italiane e quelle europee. Alcune delle novità introdotte dal governo Meloni per rendere operative procedure come quelle per l’esame “in frontiera” delle domande d’asilo e il relativo trattenimento dei richiedenti, attendevano il pronunciamento della Corte di giustizia europea, interpellata dalle Sezioni Unite civili della Cassazione dopo i ricorsi del ministero dell’Interno contro le ordinanze del tribunale di Catania che, l’anno scorso, aveva disapplicato il dl Cutro per incompatibilità con le norme Ue e liberato alcuni migranti trattenuti nell’hotspot di Pozzallo. In particolare, la Cassazione ha chiesto alla Corte Ue di esprimersi sulla cosiddetta “cauzione” da 5mila euro senza la quale i richiedenti privi di documenti non avrebbero potuto evitare il trattenimento.

Con la norma sotto giudizio della Corte, anche i trattenimenti che l’Italia si appresta a fare in Albania non avrebbero potuto essere convalidati. Così a giugno il governo ha modificato la cauzione abrogano la precedente formulazione, se non altro ammettendo che era scritta male. Ma è stato soprattutto un modo di superare l’impasse e tornare operativi con le procedure in frontiera, a partire da quelle in Albania dove il governo, dopo una serie di rinvii, promette di partire il 10 agosto. Non è tutto. Cambiata la norma, il 16 luglio l’Avvocatura dello Stato per conto del Viminale ha rinunciato ai suoi ricorsi contro le ordinanze del tribunale di Catania, chiedendo che venga ritirata la questione pregiudiziale presentata alla Corte Ue. Ancora una volta: non per dare ragione alla vituperata giudice Iolanda Apostolico che aveva firmato le prime, odiate ordinanze. Ma per sterilizzare il procedimento ed evitare che la Corte di giustizia si pronunci, magari evidenziando altri profili di incompatibilità del dl Cutro con le norme europee. La rinuncia ai ricorsi apre ora a diversi scenari, a seconda di quanto deciderà la Cassazione.

“Hanno timore che la Corte Europea possa pronunciarsi sui quesiti diversi dalla “cauzione” e detti un principio di diritto che impedisca le esternalizzazioni nei Paesi terzi”, dice al Fatto Rosa Emanuela Lo Faro, l’avvocata che rappresenta alcuni dei migranti protagonisti delle ordinanze di Catania e dei relativi ricorsi del Viminale. Opponendosi a quei ricorsi, Lo Faro ha presentato anche due contro ricorsi incidentali, ponendo alla Cassazione una serie di altre questioni relative alla nozione di Paese terzo sicuro, alla legittimità delle procedure accelerate per l’esame delle domande d’asilo, a quella di trattenimenti che non rispettano i tempi di convalida – “a Pozzallo sono passati 7 giorni prima di interpellare i giudici, mentre le richieste di convalida del trattenimento vanno fatte entro 48 ore”, spiega l’avvocata. E siccome la questione pregiudiziale sollevata dalla Cassazione alla Corte Ue verte solo sulla “cauzione”, Lo Faro ha rilanciato le questioni anche in quella sede. Una specie di contro ricorso che i resistenti hanno diritto di presentare, con una serie di osservazioni sulle quali i giudici Ue sono chiamati ad esprimersi.

Tanto rumore per nulla? Lo Faro, che ha già fatto opposizione alla rinuncia del Viminale, auspica che la Cassazione accetti la sua richiesta di riunire quattro procedimenti per poi andare a sentenza. E nel contempo decidere, chissà, di non rinunciare alla domanda pregiudiziale alla Corte Ue che così, e a maggior ragione, avrebbe occasione di esprimersi sulle osservazioni dei resistenti. Ma l’ipotesi è la più remota e già in queste ore è arrivato il primo decreto di estinzione per uno dei dieci procedimenti. La seconda possibilità è che la Cassazione vada avanti solo su due procedimenti, quelli dove ci sono i ricorsi incidentali. Che hanno però oggetto diverso da quello posto alla Corte Ue (la cauzione) e quindi la Cassazione potrebbe decidere di ritirare la questione pregiudiziale. I giudici europei potrebbero comunque decidere di rispondere alle osservazioni dei resistenti, ma anche questa è una circostanza rara. Infine, c’è anche la possibilità che, dichiarati estinti gli altri procedimenti, la Cassazione dichiari inammissibili i ricorsi incidentali, chiudendo la partita. Il mancato pronunciamento della Corte Ue o addirittura della Cassazione sarebbero, secondo Lo Faro, “un danno per tutti, visto l’inedito scenario che abbiamo di fronte, soprattutto col Protocollo Italia-Albania”. La necessità di un chiarimento, possibilmente della Corte europea, riguarda cose molto concrete, come la definizione delle cosiddette “zone di transito“. “Pensiamo ai migranti portati con le navi direttamente in Albania: qual è in questo caso la zona di frontiera? E quale base giuridica avrà il trattenimento durante il probabile lungo trasporto?”, domanda Lo Faro. Cose complesse, certo, ma sarebbe sbagliato credere che si discuta di lana caprina. Ed è solo questione di tempo perché da altri ricorsi emerga l’esigenza di interpellare la Corte europea. Certo, molto più tempo, come sa bene il governo.

In attesa che la Cassazione decida cosa fare, un’ultima ipotesi è che siano i giudici di Roma, quelli che ad agosto valuteranno le prime richieste di convalida per l’Albania, a sollevare una nuova questione pregiudiziale sulla cosiddetta cauzione, come riformulata dalla recente modifica del dl Cutro. Dipenderà dall’interpretazione che ne daranno. La garanzia finanziaria che permetterebbe di evitare il trattenimento era stata inserita nel dl Cutro perché potesse applicarsi indistintamente. Se non hai i soldi finisci dentro, una cosa così. Impostazione che per i giudici di Catania era in contrasto con la direttiva Ue che impone la valutazione “caso per caso” del trattenimento. Nella modifica al decreto, la cauzione è diventata più elastica, prevedendo tra l’altro un minimo e un massimo, da 2.500 euro a 5mila, e la possibilità di farsela pagare da familiari già residente in Europa. Una novità che, sostengono molti giuristi, non sana il rapporto con le norme europee. Perché chi non ha mezzi non potrà comunque accedere a quella che resta l’unica misura alternativa al trattenimento, e quindi verrebbe discriminato. Le altre alternative al trattenimento previste dalla direttiva Ue, come ad esempio l’obbligo di firma, sono di fatto impedite dall’accordo con l’Albania, che esclude la presenza dei richiedenti all’esterno del perimetro dei centri gestiti dall’Italia. Per questo resta quanto mai necessario conoscere l’orientamento della Corte di giustizia europea, unica titolata a dirimere le questioni nei rapporti tra l’ordinamento Ue e quello interno agli Stati membri. Un legislatore forte delle proprie ragioni non dovrebbe temere i giudici europei, semmai auspicarne i chiarimenti. La palla è ora in mano alla Cassazione, ma la partita è tutt’altro che chiusa.