Il romanzo delle tangenti. Non ci fossero state le intercettazioni telefoniche o il trojan che controllava il cellulare dell’assessore veneziano Renato Boraso, di mazzette, consulenze fasulle, favori in laguna e perfino di corruzione elettorale alle Politiche del 2022, non sapremmo quasi nulla. E invece, come ha confermato il procuratore della Repubblica Bruno Cherchi, “abbiamo svolto indagini classiche, ma basate sull’attività intercettiva, suffragata da riscontri. Checché se ne dica, le intercettazioni si sono rivelate ancora una volta fondamentali per darci l’input, dopodiché abbiamo individuato le parti che non potevano essere mal interpretate”. Ad esempio, dalle intercettazioni hanno capito “che c’era il rischio di inquinamento delle prove, perché risultava che Boraso stesse distruggendo la documentazione, come ha rilevato il giudice, evidenziando la continuità e la perduranza dell’attività corruttiva, nonché la gravità e l’attualità dei fatti andati avanti anche nel 2024”.

“Dicono che tu domandi soldi” – E pensare che Boraso aveva promesso al sindaco Luigi Bugnaro, che lo aveva affrontato in modo ruvido: “Cambio il telefono”. Aveva la percezione di essere sotto tiro, ma poi le pretese – secondo le indagini – non sono venute meno, continuando fino al 2024. Bisogna tornare a un anno e mezzo fa, al marzo 2023, quando il primo cittadino gli disse: “Mi stanno domandando anche a me che tu domandi soldi. Tu non ti rendi conto, rischi troppo. Se io ti dico di stare attento, ti devi controllare”. Di fronte alle voci di bustarelle, Brugnaro non prende decisioni politiche drastiche, come togliergli le deleghe. Il gip Alberto Scaramuzza disegna un quadro a tinte fosche: “Si tratta di un vero e proprio sistema criminoso in grado di controllare l’assegnazione dei lavori attraverso illecite pressioni sugli uffici pubblici comunali di volta in volta coinvolti, molto spesso ridotti al servizio del privato, che di volta in volta ha ricompensato lautamente l’assessore”.

“Non rompere i c…” – Brugnaro si era accorto che qualcosa non andava. Il sindaco spiega al suo assessore di volersi occupare di alcune lottizzazioni, avendo dato l’incarico a un’altra persona. “Gli ho dato tutto in mano a lui! Tu cerca di non intrometterti” è l’avvertimento all’assessore, il quale cerca di replicare, ma viene stoppato: “Non stare a rompere i coglioni!”.

“Hai gli occhi addosso” – Sempre durante lo stesso incontro, Brugnaro dice: “Ci sono diversi discorsi che stanno girando male…”. A quel punto Boraso se ne esce con la promessa di cambiare il cellulare. Brugnaro: “Ma non è il telefono… Ti hanno messo gli occhi addosso, sta attento a ste robe qua! Devi estirparla…”. Quelle battute sono finite nell’ordinanza di 172 pagine firmata dal gip, che ha accolto gran parte delle richieste dei sostituti procuratori Federica Baccaglini e Roberto Terzo. L’arresto e il trasferimento in carcere dell’assessore alla mobilità dimostrerebbe che non fu estirpato nulla. Basta ricordare i 73.200 euro che – come ricostruiscono i magistrati – si era fatto fatturare quando l’imprenditore di Singapore Ching Chiat Kwong, nel 2019, aveva acquistato al ribasso Palazzo Papadopoli, pagando 10,7 milioni di euro, anziché i 14 milioni della stima risalente al 2006. In cambio lui aveva emesso alcune fatture di consulenza con la società Stella Consulting, girando poi gli importi ad altre sue attività, il che ha fatto scattare anche il reato di autoriciclaggio. Un modus operandi che si trova in altri filoni dell’inchiesta.

Le prime tangenti – Parte da lontano, stando ai capi di imputazione, la ricerca di guadagni per se stesso dalla propria attività pubblica. Boraso, 55 anni, è in consiglio comunale di Venezia dal 1998. Inizialmente fu eletto con Forza Italia, poi con una propria lista che appoggiò Brugnaro, nel 2020 invece direttamente nella lista del sindaco che fu rieletto. Era diventato assessore alla mobilità nel 2015, alla prima legislatura di Brugnaro. Poi è stato confermato. È proprio dal 2015 che cominciano gli episodi segnalati nel capo d’imputazione: il 10 gennaio 2015 una prima tangente da 50 mila euro, il 15 luglio successivo, altri 30 mila euro, per aver contribuito alla sanatoria di un parcheggio abusivo (il Venezia Marco Polo Parking). Concede il bis tra il 2017 e il 2018, con altri 106 mila euro (in due rate) ricevuti da imprenditori legati al Park4.0 (Nievo Benetazzo, Francesco Piccolo, Sergio Pizzolato e Stefano Pizzolato). Ritorna la stessa struttura nel 2022 con 60 mila euro più Iva in fatture per consulenze.

10.000 euro all’anno – Per l’assegnazione alla Tecnofon dell’imprenditore veneziano Daniele Brichese (che è ai domiciliari) di un appalto per l’efficientamento energetico di edifici comunali, Boraso avrebbe concordato nel 2023 un versamento di 10.000 euro all’anno oltre al 4 per cento sul valore della fornitura. Nel 2022 c’era stato un intervento sul Casinò di Venezia per far assegnare le opere di giardinaggio (sede di Ca’ Noghera) alla EcoGreen, per poi farle subappaltare a Esa 2000 di Boraso, in cambio del 15 per cento sul valore dei ricavi.

Corruzione elettorale nel 2022 – Spuntano anche illeciti elettorali. Boraso è accusato di corruzione perché “concordava con Costantini Helio, amministratore delegato e socio di maggioranza di Cds (servizi di vigilanza) la dazione di utilità economiche, la raccolta e l’indirizzamento di voti alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 in favore del partito sostenuto dal Boraso e l’assunzione di persone indicate dal Boraso (finalizzate a mantenere ed accrescere il consenso elettorale)” In cambio ci fu – come si legge nelle carte dell’inchiesta – l’assegnazione del servizio di vigilanza a un raggruppamento di imprese per l’Azienda Veneziana Mobilità. In quel capitolo è coinvolto anche Fabio Cacco, responsabile delle gare di Avm-Actv. Boraso interferì con Giovanni Seno, direttore di Actv, “per ragioni di consenso elettorale”. Dicendogli: “Ti prego, siccome è un momento delicato!… lo sai quanto pesano sul territorio sta gente! Intanto sono tutti assieme Castellano, Cds, Arco…”.

Sponsorizzazione alla Reyer – C’è anche un capitolo sportivo, legato all’appalto per i sistemi di notifica digitale delle multe. Alla Open Software di Stefano Comelato sarebbero stati chiesti 40 mila euro, più 5.000 euro per la pallacanestro Favaro. Nella partita una sponsorizzazione ipotizzata per la Reyer, squadra di basket del sindaco Brugnaro: “Torna sempre utile che tu faccia 20 alla Reyer, dopo prendi una sacca da 5mila euro, da 10, 15, e dopo in base…poi hai noi del basket (intendendo il basket Favaro)”. Comelato si era poi lamentato delle pressioni del presidente della Reyer, Federico Casarin: “Mi chiama ogni dieci minuti, mi sono rotto i c… anche di quello”, aveva detto all’imprenditore Fabrizio Ormenese (arrestato). “Tu pensa se gli davo i soldi che mi aveva domandato, a posto eravamo”. Era stata ventilata anche la possibile promozione di rapporti commerciali con la società di intermediazione immobiliare Anamù, della compagna del sindaco, Stefania Moretti (che non è indagata). Qualche promessa era stata fatta al comandante dei vigili urbani Marco Agostini (collaborazioni editoriali, inviti a convegni, prebende) che non era favorevole a Open Software.

Varianti, terreni e case – Boraso si muoveva su molti fronti. Ad esempio le gare per il servizio di pulizia dei Musei civici e delle sedi del Casinò. Per la vendita di un terreno della società pubblica Immobiliare Veneziana, diretta da Alessandra Bolognin (che è finita ai domiciliari), aveva chiesto – secondo le indagini – 40 mila euro e un attico all’imprenditore Fabrizio Ormense. Informazioni su appalti per servizi nella multiutility Veritas, nella società di progettazione Insula e nella Biennale di Venezia avrebbero fruttato all’assessore 163 mila euro. Due imprenditori edili, Matteo Volpato e Filippo Salis, sono finiti ai domiciliari con l’accusa di aver pagato 38.000 euro per velocizzare l’approvazione dei piani di lottizzazione della zona urbanistica Aev a Dese (periferia di Mestre). In quel caso Boraso avrebbe assicurato pressioni o minacce su funzionari del Comune. La somma più cospicua è quella promessa da Ormenese, in cambio di una variante su un terreno al Rione Pertini: “Ascoltami – disse a Boraso – quando è a posto con l’operazione, siccome tu mi hai dato una mano e tutto, ti faccio un bonus di 200 mila. Non ti ho detto niente! Abbiamo fatto un accordo nostro, ti do 200mila, tu fai quello che vuoi”.

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