La rievocazione del mondiale Usa 1994 firmata da Arrigo Sacchi dimostra che le scorie di quel torneo non sono ancora state rimosse. Il 17 luglio di trent’anni fa, l’Italia perse ai rigori la finale con il Brasile nella fornace di Pasadena: una delle partite più brutte della storia. Il caldo insopportabile, la stanchezza e i lunghi viaggi negli Stati Uniti presentarono il conto. Gli azzurri erano a pezzi. Baresi rientrò quella domenica a tempo di record dopo l’infortunio al menisco. Roberto Baggio giocò condizionato da una lesione muscolare. Roby si presentò ugualmente sul dischetto per calciare il rigore: il pallone in curva decretò il trionfo della Seleçao, al quarto titolo mondiale dopo il trittico dell’era Pelé, tra 1958 e 1970.
Nella sua rievocazione, Sacchi ha ribadito con fierezza il valore del secondo posto e l’orgoglio di aver guidato quella nazionale: “Quei giocatori li considero degli eroi. E lo dissi subito dopo la partita, forse qualcuno non se lo ricorda. Avevamo fatto il massimo”. Ha parlato di un’Italia divisa, che in quel mese del mondiale tifò contro dopo il trionfo di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche di pochi mesi prima. “Molti connazionali erano contenti della nostra sconfitta ai calci di rigore, per non parlare dei giornalisti, che avevano già preparato il De Profundis contro la Nigeria. Io percepivo che in Italia non tutto il paese era schierato dalla nostra parte. Molti temevano che Berlusconi, appena diventato presidente del Consiglio, sfruttasse politicamente il nostro successo. I suoi avversari in Parlamento erano anche i nostri avversari, inutile negarlo”.
Ha accusato l’allora presidente federale Antonio Matarrese di aver obbedito agli ordini “dall’alto” nel portare la nazionale nella zona Est degli States: “Avevo spiegato ai dirigenti della federazione che bisognava cercare di andare a giocare sulla costa Ovest perché il clima era migliore. Niente da fare, decisero i politici, Giulio Andreotti in particolare. Volle che l’Italia fosse lì a Est, dove era più popolosa la rappresentanza di emigranti. Matarrese, presidente della Federcalcio e democristiano della corrente andreottiana, non poté opporsi”. Chiusura del pezzo: “La differenza tra la mia Italia del 1994 e l’Italia di Lippi del 2006 che ha vinto il titolo è in un rigore: Roberto Baggio lo sbaglia, Fabio Grosso lo segna”.
Una ricostruzione accurata, in cui però ci sono omissioni e manca un minimo accenno di autocritica. L’ex attaccante Aldo Serena, su X, ha stroncato Sacchi: “Con tutto il rispetto dovuto, non si possono leggere queste cose. Gioco difensivo e modesto (quello da lui sempre criticato). Roberto Baggio che dopo l’umiliazione contro la Norvegia gli salva la faccia con la sua fantasia e nessun cenno di ringraziamento”. Baggio non ha risposto sul merito, ma su Instagram ha postato questo: “La vita non è sempre facile. Se lo fosse, non cresceremmo, né progrediremmo come esseri umani. Se riusciamo in qualcosa siamo spesso invidiati; se manchiamo uno scopo siamo ridicolizzati e attaccati. Purtroppo, le persone sono così. Dolore e sofferenze inattese possono ritrovarsi sul cammino di ognuno. Ma è proprio nel momento in cui incontrate queste prove che non vi dovete far sconfiggere”.
Sacchi arrivò in nazionale nel 1991 dopo l’addio di Azeglio Vicini per la mancata qualificazione all’europeo 1992. Fu Silvio Berlusconi a spingere Sacchi verso la panchina azzurra, facendo un pressing asfissiante sul presidente federale Matarrese. Di fronte alle rimostranze di alcuni giocatori del Milan, in particolare i tre olandesi Gullit-Rijkaard-Van Basten, Berlusconi aveva infatti deciso di cambiare guida. Consegnò Sacchi alla federazione, segnalando anche gli sponsor che avrebbero potuto entrare nel giro azzurro e contribuire allo stipendio miliardario del tecnico di Fusignano. Un salario super, fuori dai parametri federali, ma Sacchi non era disposto a concedere sconti, al punto da farsi rimborsare nelle note spese anche l’acquisto dei giornali. Il giorno che precedette la conferenza stampa di presentazione, ci fu una riunione segreta che i vertici federali organizzarono in una delle vecchie strutture di Italia ’90 per evitare di incrociare i giornalisti. Sacchi espresse questa richiesta: “Mi serve un uomo al quale affidare il compito di riferire ai giocatori critiche e obiezioni”. Rimasero tutti di sasso. Alla fine, il compito fu sbrigato da più persone: in parte da Gigi Riva, che nel suo ruolo di accompagnatore e di grande ex campione godeva di carisma e del rispetto incondizionato da parte dei calciatori, in alcuni casi da Antonello Valentini, responsabile dell’ufficio stampa della federazione. L’Italia si qualificò al mondiale dopo l’1-0 firmato da Dino Baggio il 17 novembre 1993 a Milano, nella sfida decisiva contro il Portogallo. Dopo il pass per Usa ’94, ci furono tre viaggi della delegazione azzurra per fissare la sede del ritiro. Sacchi, secondo i nostri riscontri, non fece obiezioni quando si decise andare nella costa orientale.
Sacchi ha sicuramente ragione quando parla di Italia divisa dopo il successo di Berlusconi alle elezioni politiche del 1994. Il clima di quel periodo fu raccontato in un libro dell’inviato del Corriere della Sera, Giancarlo Padovan. Il titolo è emblematico: “Abbasso Sacchi, viva Sacchi”, Sperling & Kupfer, 1995. L’Unità di Walter Veltroni assunse una posizione critica nei confronti di Sacchi, ma il dissenso non fu solo figlio di un’opposizione politica. Veltroni non aveva in simpatia Sacchi, a prescindere dai legami dell’uomo di Fusignano con Silvio Berlusconi. Amava ed ama un altro tipo di calcio. Quando però il giorno della finale nella redazione sportiva apparve una bandiera del Brasile, Veltroni non approvò. Anche i nemici di Berlusconi quella sera si schierarono dalla parte degli azzurri e ci rimasero male quando i rigori condannarono l’Italia.
Le critiche alla nazionale in quel mese furono soprattutto di natura calcistica. Gli azzurri persero con l’Irlanda nella gara di esordio (0-1), superarono la Norvegia con un uomo in meno grazie al gol di Dino Baggio e pareggiarono con il Messico, qualificandosi come quarta delle terze classificate, ovvero come sedicesima. L’Italia giocava male, lontana anni luce dal Milan sacchiano. La nazionale spiccò il volo negli ottavi contro la Nigeria grazie all’esplosione di Baggio, decisivo anche contro la Spagna nei quarti e contro la Bulgaria in semifinale. La situazione cambiò grazie al Divin Codino, 5 reti nel torneo e tra i migliori in assoluto di quel mondiale. Baggio disputò la finale in condizioni precarie. Sacchi nascose la formazione alla squadra fino all’ultimo momento e schierò Baggio per riconoscenza, ma anche perché aveva litigato con Giuseppe Signori per questioni ideologiche: voleva imporre ad uno dei migliori bomber in circolazione in Europa di giocare come esterno di centrocampo. Forse, trent’anni dopo, sarebbe opportuno fare anche un minimo di autocritica. Non può essere sempre colpa degli altri.