Violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale e violenza e minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi componenti. Sono gli articoli 336-338 Codice Penale che puniscono il normale cittadino che in qualche modo si ribella al potere dello Stato, in particolare alle forze dell’ordine. Norme che negli anni sono state utilizzate per contrastare le lotte sociali, anche quelle a bassa intensità. Norme che, anche se pare incredibile, il regime repubblicano ha rafforzato in questi decenni, alla faccia del confronto e della collaborazione tra stato e cittadinanza. Come bene afferma il collega avvocato Claudio Novaro: “In breve, non solo abbiamo un codice che risale al ventennio fascista, ma il legislatore repubblicano è riuscito a peggiorarlo ulteriormente”. E questo è avvenuto con qualsiasi governo, di destra o di sinistra, ammesso che questa locuzione abbia ancora un senso compiuto. E il peggioramento è avvenuto con gli articoli codicistici successivi, ossia 339 e 339 bis, che prevedono le circostanze aggravanti.

Ossia se la violenza o minaccia è esercitata nel corso di manifestazioni in luogo pubblico, o, ancor peggio, se violenza o minaccia sono esercitate da più di dieci persone anche senza uso di armi (aggravante già prevista dal Codice Rocco, di epoca fascista), o, peggio ancora, se si utilizzano corpi contundenti. Tutte circostanze aggravanti che non fanno che assommarsi alla pena base, che è da sei mesi a cinque anni. Ma evidentemente queste pene non erano sufficienti per contrastare il fenomeno di chi partecipa a manifestazioni di contrasto nei confronti dello Stato, ed ecco un’aggravante ancor più specifica, che si viene ancora a sommare a quelle precedenti, ossia quella di contrastare un’opera pubblica o un’infrastruttura strategica.

È questa la norma che vuole introdurre nell’ordinamento giudiziario la Lega, per mano di tale Igor Iezzi, primo firmatario, diplomato al liceo scientifico e noto fino ad oggi per aver tentato di picchiare il deputato Donno (M5) alla Camera e per essersi messo in testa un velo a mo’ di burqa per protestare contro l’apertura di un centro islamico a Milano. La norma è contenuta nel cosiddetto “pacchetto sicurezza”, un disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento. Il risultato di tutte queste circostanze aggravanti sarebbe che chi commette questo reato può andare incontro ad una pena pari a 25 anni di detenzione. Perché queste norme del tutto spropositate nella loro entità rispetto ai fatti commessi, posto che uno dei principi costituzionali è la proporzionalità della pena rispetto al fatto commesso? Perché lo Stato repubblicano in questi decenni ha mandato avanti una massiccia operazione di opere cosiddette “di pubblica utilità” che spesso hanno sollevato le proteste sì anche violente da parte della cittadinanza, anche perché queste opere sanno tanto di utilità privata (leggasi Webuild che oggi detiene il monopolio delle opere pubbliche, e suoi predecessori) piuttosto che di utilità pubblica. Madre di tutte queste battaglie – a mio avviso – sacrosante il Tav Torino-Lione.

Ma la norma di Iezzi ha adesso anche un carattere preventivo visto che si vuole realizzare il famoso “ponte”, e si possono immaginare le proteste di piazza. Siamo di fronte a uno stato (“non siamo stato noi”) che, tramite un uso spregiudicato del Codice Penale, vuole blindare gli enormi favori che fa all’industria delle costruzioni, distraendo a favore di essa soldi dei cittadini che ben più proficuamente potrebbero essere dirottati su salute, scuola, cultura. Ma il ddl di cui prima non si ferma qui, perché può anche capitare che ad esempio il poliziotto sia un po’ nervoso di fronte a questa gente che sbraita, insulta, minaccia, e magari può anche capitare che ci scappi qualche manganellata, ci scappi un ferito, ohibò, e nell’ipotetico procedimento penale successivo il poliziotto decida di avvalersi per la difesa anziché dell’Avvocatura dello Stato (gratuita), di un avvocato privato. In tal caso il ddl, sempre per mano leghista, prevede che lo stato anticiperà fino a 10.000 euro per la difesa.

Ma perché dicevo “ipotetico procedimento penale”? Perché a memoria mia nessun singolo operatore delle forze dell’ordine che abbia pestato dei manifestanti è mai andato a processo, ad eccezione per il caso eclatante della scuola Diaz nel 2001, mentre non si contano i manifestanti andati a processo. Ma questo accade anche per un semplice motivo, perché il nostro Stato repubblicano, il nostro Stato democratico, non ha ancora deciso di far dotare le forze dell’ordine di una misura sacrosanta (a memoria dell’art. 3 della Costituzione), cioè di un codice identificativo, come ad esempio invece accade in Francia, dimodoché si può pestare in libertà, pressoché certi dell’impunità, perché non si è in grado di risalire a nome e cognome di chi opera così diligentemente a favore dello stato.

Il 19 settembre 2001 il Consiglio d’Europa ha approvato con una raccomandazione il “Codice etico europeo di Polizia”. Questo documento invitava gli Stati membri a far sì che, nel corso di manifestazioni pubbliche, ciascun agente di polizia fosse riconoscibile e identificabile. L’Italia ha finora fatto orecchie da mercante. Quanto sopra serve anche a dimostrare che stiamo andando sempre più verso uno Stato autoritario, ma che non si deve parlare di nuovo fascismo, perché a quello che sta diventando lo Stato hanno contribuito pesantemente tutti i governi che hanno preceduto quello inguardabile attuale.

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