Con 68 voti a favore e solo 9 contrari, il parlamento israeliano ha approvato una risoluzione che respinge l’istituzione di uno Stato palestinese. A volerla e votarla sono stati sia i partiti della coalizione del premier Benjamin Netanyahu sia quelli di destra all’opposizione, con il sostegno del partito del cosiddetto “moderato” Benny Gantz.

La risoluzione rappresenta quindi un macigno sulla strada di quanti continuano a parlare della soluzione ‘due popoli due Stati’, compreso Joe Biden, che il 22 incontrerà Netanyahu, ospite del Congresso americano il 24 luglio. Una visita che si annuncia molto controversa, visto che sul premier israeliano pende la richiesta di arresto della Corte internazionale di giustizia (Icc) per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Biden aveva definito “oltraggiosa” la richiesta della Corte, ma erano altri tempi. L’arrivo di Netanyahu a Washington rischia di essere un ulteriore elemento destabilizzante. Di sicuro le misure di sicurezza intorno al Congresso saranno poderose, vista la quantità di sigle che si sono date appuntamento a D.C. per contestare quello che Jewish for Peace definisce “un criminale di guerra che va arrestato”.

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Torniamo però al contenuto della risoluzione: “L’istituzione di uno Stato palestinese nel cuore della Terra d’Israele rappresenterà un pericolo esistenziale per lo Stato di Israele e i suoi cittadini, perpetuerà il conflitto israelo-palestinese e destabilizzerà la regione”. E ancora: “Sarà solo questione di tempo prima che Hamas si impossessi dello Stato palestinese e lo trasformi in una base terroristica islamica radicale, lavorando in coordinamento con l’asse guidato dall’Iran per eliminare lo Stato di Israele. Promuovere l’idea di uno Stato palestinese in questo momento sarebbe un premio per il terrorismo e non farà altro che incoraggiare Hamas e i suoi sostenitori a vederla come una vittoria, grazie al massacro del 7 ottobre 2023, e un preludio alla presa di potere dell’Islam jihadista in mezzo Oriente”. Praticamente l’Apocalisse.

Eppure c’è una minoranza anche in Israele che contesta questa versione: il gruppo arabo-ebraico Standing Together, lo stesso che ha inventato il corpo di guardia per proteggere dai coloni i tir di aiuti che da Tarkumiyeh tentavano di entrare a Gaza, ha scritto sui social: “La soluzione dei due Stati si sta allontanando da molto tempo, con il continuo insediamento di Israele, l’annessione de facto della Cisgiordania e la guerra infinita a Gaza (…) Se non si discute di uno Stato palestinese e non si discute di concedere pieni diritti civili ai palestinesi nei Territori occupati, allora la decisione è stata presa: un sistema permanente di controllo israeliano tra fiume e mare, dove si applicano leggi diverse alle persone a seconda che siano ebrei o palestinesi (cioè l’apartheid)”.

Un sistema di questo genere, oltre che essere immorale, porta con sé anche una serie di questioni pratiche a cui nessuno vuole rispondere: intanto come dovrebbe creare un futuro sicuro per gli israeliani e contemporaneamente cosa dovrebbero fare i palestinesi (i superstiti di Gaza, quelli che ancora non hanno attraversato il confine con il Libano, la Siria o la Giordania diventando profughi, perché mai dovrebbero andarsene? Certo, c’è quella che Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir chiamano “l’emigrazione volontaria”, ma è più un’espulsione forzata o meglio, una pulizia etnica.

E a proposito di Itamar Ben Gvir: proprio oggi il ministro della Sicurezza nazionale, rappresentante della destra messianica al governo, ha fatto una passeggiata davanti alla Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme Est, terzo luogo sacro più importante dell’Islam, rivendicato da ebrei, cristiani e musulmani e per questo tra i posti più contesi del mondo. La mossa di Ben-Gvir che ha detto di essere andato lì, nel “luogo più importante per lo Stato di Israele, per il popolo di Israele, per pregare affinché gli ostaggi ritornino a casa, ma senza un accordo sconsiderato, senza arrendersi”, in pratica minaccia di interrompere definitivamente i delicati colloqui per un cessate il fuoco a Gaza e per il ritorno degli ostaggi.

Colloqui già messi a durissima prova dal bombardamento del 13 luglio ad Al Mawasi, e da quella che viene considerata la settimana di sangue più pesante nella Striscia.

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