“Il tuo contratto si concluderà fra pochi giorni. Ti invitiamo a consegnare il telefono di servizio e a ritirare le tue cose svuotando l’armadietto. Grazie per la collaborazione”. Questo è l’sms inviato a Zaid dai responsabili di una catena di supermercati di bricolage dove ha lavorato per un anno – prima come tirocinante, poi come contrattista a termine, fino al massimo delle proroghe ammesse dalla legge – sobbarcandosi richieste all’ultimo minuto, straordinari non concordati e ogni sorta di altre pretese, di quelle che ci si permette con chi non può dire di no.
Nessun’assenza, nessun ritardo, nessun richiamo. Non serviva più e lo hanno eliminato, il mercato del lavoro è anche questo. Il modo, però, dice tanto di quanto gli addetti alle “risorse umane” di umano non abbiano praticamente più nulla. Perché puoi anche avere avuto l’input di lasciare a casa persone non rinnovando i loro contratti a termine, ma se lo fai in quel modo lo schifoso/a sei anche tu. Potrai trincerarti dietro “è il mio lavoro e devo farlo al meglio se no lasciano a casa me”, ma il modo in cui lo fai dice tanto sulla persona che sei, su quale rispetto hai per gli altri, su come vivi, ami e ti collochi nel mondo.
Zaid ha cominciato come tirocinante. Il contratto di tirocinio – almeno in Piemonte – prevede un compenso di 600 euro netti per 40 ore di lavoro (pardon, tirocinio) la settimana, circa 3 euro l’ora, niente contributi previdenziali perché non è mica un lavoro! Il contratto di tirocinio dura tre mesi, rinnovabili una volta sola. Dopo sei mesi o ti assumono oppure avanti con un altro tirocinante, costa meno e funziona uguale. Anzi ha dentro il sacro fuoco di chi spera di mettersi in mostra per essere assunto, dunque galoppa di più e perfino col sorriso stampato sulla faccia. Al termine dei sei mesi di tirocinio Zaid ha avuto due contratti trimestrali, poi avrebbe dovuto essere assunto a tempo indeterminato. Quindi, ciao.
Quando entrate nel vostro solito supermercato, guardate gli addetti: osserverete che accanto ai soliti fissi, ogni tanto qualcuno appare e qualcun altro scompare. In almeno un paio di casi sono riuscito ad accertare che erano tirocinanti, eppure facevano esattamente lo stesso lavoro degli altri. Potremmo aspettarci che siano almeno persone giovani e giovanissime che imparano un lavoro, non è quasi mai così: a volte sono decisamente avanti con gli anni, ma avendo perso il lavoro che hanno svolto per una vita, non sono più facilmente ricollocabili. Le aziende preferiscono investire sui giovani con contratti di apprendistato, meno onerosi e più garantisti per i neoassunti, in formazione e diritti.
Così vi capiterà di trovare alla cassa del supermarket Antonella, ex responsabile commerciale di una controllata Fiat, venduta per il marchio e poi sbaraccata. Si sta riposando dalle fatiche del carico/scarico scaffali. Guadagna 3 euro l’ora e sorride perché spera in un vero contratto che la avvicini alla pensione. E’ italianissima da abbastanza generazioni da piacere ai razzisti nostrani, ha sperato invano che i governi mettessero in campo risorse e progetti per valorizzare le professionalità stagionate, poi ha capito che è troppo faticoso e poco redditizio in voti e consenso. Ha da dare in esperienza, capacità di adattamento, cultura industriale, ma è “incollocabile” in un mondo dove il tempo è piatto e conta solo il qui e ora.
Gianna, funzionaria di un’agenzia di lavoro interinale, agli aspiranti lavoratori invia messaggi scritti in un italiano incomprensibile, il tono è quello del padrone con gli schiavi della piantagione. Li conservo perché sono la prova di come si incazza quando i suoi clienti osano chiederle spiegazioni su quello che scrive. Come potranno mai essere soddisfatte le aziende che le hanno delegato la selezione del personale e l’assunzione degli interinali che servono loro se non sa neanche rapportarsi in modo civile ai futuri dipendenti, magari valorizzandone le competenze? Eppure è così, lei dispone, con i suoi sì e i suoi no cambia la vita delle persone con una naturalezza che sconcerta. Anche lei espressione dell’incultura di un paese che ancora pensa che la concorrenza si fa abbassando i salari, ignorando l’effetto di indebolimento dell’intero sistema economico come da vent’anni a questa parte. Tutti sanno, tutti vedono, prevale sempre la connivenza e il conformarsi, così che la concorrenza è per finta. Altroché il troppo capitalismo a cui le anime belle della sinistra mainstream accreditano i guasti sociali dell’oggi.
Mentre l’intervento della magistratura e delle forze dell’ordine toglie il coperchio allo sfruttamento dei braccianti anche nelle zone delle produzioni d’eccellenza del civilissimo nord del paese, viene da chiedersi dov’è e dov’era la politica, dov’erano le bandierine gialle della Coldiretti, i bei visini degli amministratori da inaugurazione. Viene anche da chiedersi se le forme spietate di caporalato senza regole siano solo dei campi e non anche della distribuzione, del commercio e delle tante attività che, sotto la voce servizi, sfruttano senza senso chi avrebbe soltanto bisogno di un lavoro. Quello vero, produttivo, magari agevolato da politiche e sensibilità degne di un paese dal capitalismo maturo.
Per Zaid la mancata riconferma si è rivelata, probabilmente, un colpo di fortuna: un lavoro l’ha trovato con l’aiuto del sistema di relazioni personali dei volontari che danno una mano ai penultimi, come lui. Per adesso tre mesi, ma stavolta le prospettive sono buone. Antonella forse avrà un contrattino per qualche mese: un altro piccolo passo verso la pensione. Gianna riproduce l’incultura che le dà lavoro.
Piacerebbe vederli in prima fila nel prossimo Work Pride, a capo di una fiumana di gente che, in allegria e amicizia, celebra il giorno della liberazione del (non dal) lavoro. Insieme alle migliaia di giovani che, finiti gli studi, vanno a cercarlo all’estero perché hanno capito troppo bene come funziona il nostro paese, al pari degli immigrati che ormai lo usano solo più come transito.