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L’ultima spiaggia di Meloni in Ue, si aggrappa al peso dell’Italia dopo il ‘no’ a von der Leyen: “Non possono negarci il ruolo che ci spetta”

Subito dopo la riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea, la notizia più rilevante che esce dall’emiciclo di Strasburgo è che il bis della presidente, per la prima volta nella storia, non ha trovato l’appoggio del governo italiano. Fratelli d’Italia e Lega, a differenza di Forza Italia, hanno votato contro la politica tedesca e questo rischia di avere serie ripercussioni sulla rilevanza di Roma nella prossima legislatura. Il Paese è il terzo per numero di abitanti tra i 27 membri, ma la scelta di FdI di collocarsi all’opposizione rischia di lasciarlo fuori dai processi decisionali, tranne che in sede di Consiglio Ue. Difficile pensare a dei calcoli sbagliati: quella di Giorgia Meloni non può che essere una scelta consapevole.

LE MOTIVAZIONI DEL ‘NO’ – Che i rapporti fossero deteriorati rispetto a quando Meloni e von der Leyen non perdevano occasione per mostrarsi insieme in pubblico a eventi e missioni internazionali era chiaro da settimane. La rottura definitiva è avvenuta nel corso dell’ultimo Consiglio Ue, quando la presidente del Consiglio ha dimostrato che in casa FdI non era ancora stata decisa una strategia chiara. Astenendosi sulle cariche apicali dell’Ue, ha scontentato von der Leyen e la sua maggioranza, senza nemmeno guadagnare punti nel fronte sovranista e nazionalista, dove Viktor Orbán intanto faceva incetta di europarlamentari per formare il suo nuovo gruppo dei Patrioti d’Europa.

Da lì i contatti con von der Leyen, se ci sono stati, sono avvenuti solo nell’ombra e da entrambe le parti è maturata la consapevolezza che quel matrimonio, ormai, non s’aveva più da fare. Lo dimostra anche la decisione della capa del Berlaymont di incontrare la delegazione dei Conservatori europei solo il 16 luglio, a due giorni dal voto, senza l’ambizione di strappare alcun tipo di sostegno. E infatti Ecr, compresa FdI, alla fine ha votato ‘no’. “Per noi votare a favore di von der Leyen avrebbe significato andare contro ad alcuni dei nostri principi – ha poi spiegato il co-presidente di Ecr, Nicola Procaccini – Alcune tematiche ci hanno reso impossibile votare a favore. D’altra parte vogliamo avere un rapporto estremamente costruttivo, la partita si giocherà sui contenuti”. Il capodelegazione Carlo Fidanza ha invece detto che “le scelte fatte in questi giorni, la piattaforma politica, la ricerca di un consenso a sinistra fino ai Verdi hanno reso impossibile il nostro sostegno alla riconferma della presidente Ursula von der Leyen. Non viene dato seguito al forte messaggio di cambiamento uscito dalle urne del 9 giugno. Questo non pregiudica il nostro rapporto di lavoro istituzionale che siamo certi possa portare a alla definizione di un ruolo adeguato in seno alla prossima Commissione che l’Italia merita”.

Giorgia Meloni si è affidata a un video per motivare la scelta. Le sue parole ricalcano quelle dei due rappresentanti e la premier mette l’accento proprio su ciò che avverrà da ora in poi: “Non ho in alcun modo ragione di ritenere che la nostra scelta possa compromettere il ruolo che verrà riconosciuto all’Italia nella Commissione europea. L’Italia è il terzo Paese fondatore, la seconda manifattura, la terza economia d’Europa”.

A esplicita domanda riferita al voto contrario di FdI, von der Leyen dimostra però freddezza e fa capire che, a questo punto, il partito di Giorgia Meloni finisce inevitabilmente nel grande gruppo delle opposizioni che comprende l’estrema sinistra ma anche e soprattutto gli ultranazionalisti: “Noi abbiamo lavorato per una maggioranza democratica, per un centro pro-Ue. E alla fine questo mi ha sostenuto. Credo che il nostro approccio sia stato corretto. Abbiamo lavorato duramente durante tutta la campagna elettorale per unire le forze democratiche e avere una maggioranza al centro per un’Europa forte. L’approccio è stato quello di dire a tutti coloro che sono a favore dell’Europa, dell’Ucraina, dello Stato di diritto che offriamo loro di lavorare insieme. E il risultato di oggi credo parli da sé”.

LA STRATEGIA DI FDI – Le conseguenze della mossa di FdI sono ancora tutte da calcolare. Il partito, così come il suo gruppo, non è stato inserito tra quelli per i quali è stato previsto un cordone sanitario democratico, come accaduto invece per i Patrioti d’Europa e i Sovranisti. Ma il mancato sostegno rischia di relegare un Paese importante come l’Italia, terzo per numero di abitanti e membro fondatore dell’Ue, in una posizione marginale rispetto al passato. Una cosa è certa: il partito di Meloni ha fatto una scelta assumendosi tutti i rischi del caso, consapevole che in fase di formazione della nuova squadra di commissari la decisione del 18 luglio potrebbe risultare penalizzante. Ogni concessione, ogni occhio di riguardo dipenderà da un aspetto soltanto: l’Italia è un Paese che in sede di Consiglio Ue ha grande potere e, quindi, non può essere totalmente marginalizzato.

Dietro alla strategia dei meloniani, però, non si vede altro che la volontà esplicita di rimanere all’opposizione e non intestarsi, quindi, eventuali scelte indigeste prese dalle istituzioni brussellesi. Non identificarsi, quindi, in questa nuova ‘maggioranza’. Procaccini ha detto una cosa chiara: “La partita si giocherà sui contenuti”. Questo però sarebbe stato possibile anche dando appoggio a von der Leyen con la certezza di ottenere un commissario di peso al Berlaymont e, inutile nasconderlo, anche un trattamento privilegiato su temi scottanti come i conti pubblici, le procedure in tema di concorrenza e altri dossier. Un po’ quello che hanno deciso di fare i Verdi europei: il partito è sceso a compromessi sostenendo una candidata che loro stessi definiscono non ideale, ma con la quale sono andati a contrattare su temi specifici, come i provvedimenti futuri per portare avanti il progetto del Green Deal. Così si sono resi determinanti per la maggioranza e questo, in politica, paga. E questo senza l’obbligo di garantire il proprio supporto su altri temi che violano i loro principi costitutivi.

Fare questo, per l’Italia, avrebbe però smentito la narrativa che vuole FdI impegnata nel riformare l’Europa, un’Europa delle imposizioni, che non tiene conto degli interessi nazionali dei singoli Stati, contro la quale scagliarsi quando le cose non vanno come si auspica. La ‘vecchia Europa‘, insomma, quella criticata anche negli ultimi cinque anni a guida von der Leyen.

QUALI PROSPETTIVE PER L’ITALIA? – Così, tutto ciò che Roma otterrà non potrà essere considerato il frutto della strategia di Fratelli d’Italia, ma solo il riconoscimento del peso specifico del Paese in Consiglio Ue, dove spesso le decisioni vengono prese all’unanimità o a maggioranza qualificata (55% degli Stati membri che rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue). E le prospettive, adesso, sono infinite.

Prima del voto, all’Italia venivano attribuite principalmente due possibili deleghe. La prima, che avrebbe portato al Berlaymont probabilmente il ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto, era anche quella di maggior spessore: Bilancio e Next generation Eu. Avere su quella poltrona un esponente del governo italiano, tenendo conto che la carica fa diretto riferimento a Ursula von der Leyen senza passare da alcun vicepresidente, avrebbe conferito all’Italia un peso importante su un dossier fondamentale per il Paese. L’altra opzione circolata era quella sul commissario alla Concorrenza, delega che sollevava però un problema di conflitto d’interessi, dato che l’Italia ha procedimenti aperti di primaria importanza, uno su tutti quello relativo alle concessioni balneari. Nelle ultime ore è circolata anche l’idea di un commissario italiano all’Agricoltura, il portafoglio in assoluto più ricco dell’Ue. Il voto contrario alla conferma di von der Leyen, però, apre a qualsiasi scenario. E l’esito delle trattative dipenderà soprattutto da un fattore: quanto Ursula von der Leyen vorrà far pagare a Giorgia Meloni la mancata fiducia.

X: @GianniRosini