L’autocrate turco Recep Tayyip Erdogan anche questa settimana ha fatto lo slalom tra le proprie contraddizioni con il solito cinismo e opportunismo. Senza alcuna remora nella conferenza stampa durante il vertice dell’Alleanza atlantica, ha tuonato che “non è possibile per l’amministrazione israeliana, che ha calpestato i valori fondamentali della nostra alleanza, continuare il suo rapporto di cooperazione con la Nato”. Secondo Erdogan, fino a che non sarà raggiunta una pace completa e sostenibile in Palestina, i tentativi di cooperazione con Israele all’interno della Nato “non verranno approvati dalla Turchia”.
Due giorni dopo, con il pretesto del tentato omicidio del candidato repubblicano alle presidenziali americane Donald Trump, Erdogan lo ha chiamato per dirsi felice dello scampato pericolo e per condannare “questo attacco alla democrazia americana”. Il problema è che Trump è stato durante la sua presidenza il più potente e granitico alleato dei governi di destra di Bibi Netanyahu, sostenendo, ancor prima che andassero al governo lo scorso anno, i partiti sionisti religiosi di estrema destra che vogliono l’annessione della Cisgiordania e di Gaza (la Grande Israele dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano) e l’espulsione di tutti i palestinesi che le abitano.
Il concetto di democrazia per Erdogan ha, peraltro, sempre due facce: con una la acclama, con l’altra la distrugge giorno per giorno fin dentro i più piccoli municipi. Specialmente quelli dell’area sud-orientale, il cosiddetto Kurdistan in cerca di una autonomia ma non più di una secessione da Ankara. Eppure il Sultano prosegue nella sua ventennale opera di erosione della libertà di pensiero e di sovvertimento del voto popolare, quando non gli fa comodo. Ovvero quando i voti non vanno al suo partito (Akp) bensì a quelli di opposizione, specialmente se si tratta del Partito filo-curdo per l’uguaglianza e la democrazia popolare (Dem). I suoi parlamentari hanno chiesto la sospensione della decisione di sostituire il sindaco di Hakkari, una città a maggioranza curda nell’est del Paese, con un fiduciario nominato dal governo.
Nei sondaggi locali di marzo, il candidato Dem Mehmet Sıddık Akış ha ottenuto il 48,9% dei voti, sconfiggendo di poco il candidato dell’Akp al potere. Il ministero dell’Interno, tuttavia, ha destituito Akış dalla carica di sindaco il 3 giugno, citando un caso di “terrorismo” a suo carico. Il partito Dem, nella sua petizione, ha descritto l’azione del ministero come un “colpo di stato” e ha sostenuto che le nomine degli amministratori fiduciari stanno diventando una norma nelle regioni curde. La petizione afferma: “Le nomine degli amministratori mirano a escludere il partito (Dem, n.d.r.) e la sua agenda politica dal governo locale, a confiscare sistematicamente i comuni vinti da un partito politico di opposizione e a minare la volontà elettorale degli elettori del partito (Dem)”.
Il Partito Dem ha inoltre contestato la costituzionalità degli articoli 34 della legge n. 6758 e 45 della legge comunale, che costituiscono la base giuridica di tali nomine, e ha chiesto alla Corte Costituzionale di rivedere tali disposizioni. Secondo queste disposizioni, il Ministero dell’Interno è autorizzato a rimuovere un amministratore locale se sono in corso indagini penali o procedimenti contro di lui per determinate accuse, comprese quelle legate al “terrorismo”. Il trucco dell’accusa di terrorismo è stato usato sempre più frequentemente negli ultimi dieci anni per incarcerare giornalisti indipendenti e parlamentari dei partiti di opposizione . Dal 2016, il governo turco ha nominato amministratori fiduciari nei comuni vinti principalmente dal Partito democratico popolare filo-curdo (Hdp) costretto a cambiare nome per continuare a presentarsi alle elezioni essendo stato messo sotto accusa dalla magistratura per “collaborazione con il Pkk “ di Ocalan.
Dopo le elezioni locali del 2019, il governo ha preso il controllo di quasi tutti i 65 comuni vinti dall’Hdp. Sebbene il governo dell’Akp non abbia lanciato una campagna su larga scala per la nomina degli amministratori fiduciari dopo le significative perdite subite nelle elezioni generali del 2024, la recente nomina ad Hakkari indica che questa politica è ancora in vigore. E aumenterà, molto probabilmente sempre di più, con la diminuzione del consenso popolare nei confronti di Erdogan e del partito nazionalista di estrema destra dei Lupi Grigi ( Mhp) che è il partner di minoranza della coalizione di governo guidata dal partito di Erdogan.
Secondo un sondaggio condotto dalla società Yöneylem a fine giugno, il presidente Recep Tayyip Erdoğan e il suo alleato nazionalista Devlet Bahçeli sono attualmente i due politici più disapprovati in Turchia. Il tasso di disapprovazione di Bahçeli è nettamente superiore a quello degli altri con il 61,5%, seguito dal presidente Recep Tayyip Erdoğan con il 46,6%. Questi risultati si inseriscono nel contesto di una grave crisi del costo della vita nel Paese, che è anche considerata la ragione principale della sconfitta dell’Akp di Erdogan alle elezioni locali di marzo.
Bahçeli, leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp) dal 1997, è stato una figura chiave nella politica turca nonostante non abbia ricoperto una carica ufficiale, fatta eccezione per il suo mandato come vice primo ministro tra il 1999 e il 2002. Inizialmente, era un feroce oppositore del Erdoğan fino al 2015 circa, quando ha iniziato gradualmente ad allinearsi con il partito al potere. Nel 2017 Bahçeli ha svolto un ruolo fondamentale nel proporre la transizione verso un sistema presidenziale. Gli emendamenti costituzionali necessari per questo cambiamento sono stati elaborati da membri sia dell’Akp che dell’Mhp. Da allora, l’MHP ha costantemente sostenuto Erdoğan nelle elezioni presidenziali. Di conseguenza, durante questo periodo le politiche del governo di Erdoğan sono diventate più nazionalistiche e incentrate sulla sicurezza.
Il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, membro del principale partito di opposizione Chp, è al terzo posto con un tasso di disapprovazione vicino a quello di Erdoğan, pari al 41,2%. Questo risultato è degno di nota dato che İmamoğlu si è assicurato la rielezione a marzo ed è ampiamente visto come un futuro candidato presidenziale. Il sondaggio, che ha coinvolto 2.400 partecipanti tra il 26 e il 30 giugno, mostra che il sindaco di Ankara Mansur Yavaş, anche lui membro del Chp, ha il più alto indice di gradimento con il 52,2%, e İmamoğlu è secondo con un tasso del 46%. Il leader del Chp Özgür Özel è arrivato terzo. L’indagine ha indicato una mancanza di riconoscimento per alcune figure politiche, con il 20,6% degli intervistati che non conosce il ministro degli Interni Ali Yerlikaya e il 14,6% non è in grado di riconoscere il ministro degli Esteri Hakan Fidan.