Calcio

Il golpe dei presidenti di Serie A contro Gravina: ecco perché il futuro del calcio italiano sta per finire in tribunale

Il futuro del calcio italiano sta per finire in tribunale. I presidenti della Serie A, all’unanimità, hanno deciso di impugnare l’ultima delibera del consiglio Figc con cui sono stati confermati i regolamenti in vista delle prossime elezioni del 4 novembre. È il risultato dell’emendamento Mulè: adesso che c’è una legge dello Stato che stabilisce che la Serie A deve pesare di più, i patron giustamente non ne vogliono sapere di andare a votare con le vecchie regole, con cui la riconferma del sistema Gravina (che sia lui in persona, o un sostituto a lui gradito) è praticamente scontata.

Sta succedendo ciò che si poteva immaginare con l’approvazione in Commissione del famoso emendamento Mulè, che Il Fatto ha anticipato per primo. Il provvedimento, osteggiato in tutti i modi dalla FederCalcio (con tanto di minaccia di fantomatiche sanzioni internazionali da parte di Uefa e Fifa), accoglie una storica rivendicazione dei presidenti: fino ad oggi la Lega Calcio valeva solo il 12% dei voti e contava appena 3 consiglieri su 20 in consiglio, infatti non ha mai deciso nulla nella governance del pallone. Adesso dovrà avere una “equa rappresentanza, tenendo conto anche del contributo economico apportato”, visto che il calcio è un sistema di mutualità generale, ovvero si basa sul 10% dei ricavi dei diritti tv che ogni anno la Serie A gira alla base del movimento.

L’emendamento Mulè ha il merito di scardinare l’ordine costituito. Ha anche un limite, però: non dice come, non indica cioè le cifre esatte dei nuovi pesi elettorali, rimessi alla decisione interna del sistema, proprio per non violare l’autonomia sportiva. E non stabilisce nemmeno quando, nel senso che non ha una scadenza precisa, un limite perentorio entro cui applicarla. Il buon senso vorrebbe che l’attuazione avvenisse il prima possibile, sicuramente prima delle prossime elezioni, in modo che il prossimo ciclo del pallone italiano possa nascere con la piena legittimazione delle norme. Ma nel calcio italiano vale tutto e il contrario di tutto, infatti le manovre sono già partite.

Gabriele Gravina, il presidente degli ultimi sei anni di fallimenti gestionali e sportivi del calcio italiano, subito dopo la figuraccia contro la Svizzera e l’eliminazione da Euro 2024 aveva anticipato le elezioni a novembre (rispetto alla data originaria prevista tra gennaio e marzo 2025), per mettere a tacere le richieste di dimissioni e bruciare sul tempo gli avversari: oggi le componenti del calcio italiano sono tutte in mano sua, con gli equilibri attuali sarà ancora lui a dare le carte in futuro. L’emendamento Mulè cambia le carte in tavola, perché con la riforma la Serie A (ostile a Gravina) avrebbe più potere, mentre l’impero dei Dilettanti (in mano al vecchio Giancarlo Abete, sostenitore del presidente uscente) verrebbe inevitabilmente ridimensionato. Con le nuove percentuali potrebbero nascere anche nuove alleanze, insomma sarebbe una partita tutta nuova da giocare dall’inizio alla fine.

Per questo il piano di Gravina pare abbastanza chiaro: buttare la palla in tribuna, dimostrare che è non c’è un accordo in tempi brevi (la scadenza è il 4 settembre, praticamente impossibile da rispettare) e andare intanto a votare con le vecchie regole, che lo favoriscono. Lo controprova è rappresentata anche dalla conferma nell’ultimo consiglio federale dei regolamenti in vista delle urne, contro il parere di Serie A e B. Ed è proprio questa la delibera che oggi impugna la Lega Calcio, passando dalle parole ai fatti. Anche l’unanimità con cui è stata presa la decisione dimostra quanto i patron siano compatti sul tema: si aspettano di arrivare a pesare almeno il 50% con le altre leghe professionistiche (rispetto al 34% attuale) e di farlo prima delle urne. Il ricorso, presentato nell’ultimo giorno utile, è un’arma: se la legge sarà rispettata e le regole verranno cambiate, sarà ritirato. Altrimenti le elezioni finiscono in tribunale: prima quello federale, saldamente in mano al presidente Gravina, il cui giudizio è quasi sempre scontato; ma poi anche al Collegio di Garanzia al Coni, senza escludere di arrivare fino al Tar. Lo scontro è appena iniziato.

X: @lVendemiale