La Consulta boccia il divieto, introdotto nel 2018, di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente (Ncc) fino alla piena operatività del registro informatico nazionale delle imprese titolari di licenza taxi e di autorizzazione Ncc. Questo perché, si legge nella sentenza appena depositata, l’articolo 10-bis, comma 6 del decreto-legge n. 135 del 2018 ha consentito, per oltre cinque anni, “all’autorità amministrativa di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi operatori”, compromettendo gravemente “la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea“. Immediata la reazione dei tassisti, che contestano i giudici costituzionali sostenendo che si sono “conformati alla stereotipata vulgata di una ‘situazione in cui la domanda è ampiamente superiore all’offerta’”. Esulta invece Uber: “Pone fine a uno stallo durato oltre 6 anni e rimuove gli ostacoli all’endemica scarsità di servizi di trasporto non di linea nelle città italiane, dove la situazione è drammatica. Speriamo che il governo prenda atto della decisione ed abbandoni ogni iniziativa volta ad introdurre restrizioni ingiustificate ai servizi Ncc”.

In via preliminare, la sentenza ha chiarito che la recente adozione del decreto 203 del 2024 del ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che stabilisce la “piena operatività” del registro informatico a decorrere da centottanta giorni dalla sua pubblicazione, “non ha alcuna incidenza sul presente giudizio, dal momento che le censure sono state prospettate sulla disposizione legislativa” in ragione della sua “struttura”, a prescindere dalle evenienze “di fatto” e dalle “circostanze contingenti” attinenti alla sua concreta applicazione. E ciò in quanto – prosegue la nota della Consulta – è proprio la configurazione della disposizione censurata che ha consentito all’autorità amministrativa di bloccare l’ingresso dei nuovi operatori nel mercato del Ncc semplicemente rinviando, “con il succedersi dei decreti (ovvero con la loro emanazione e la loro successiva sospensione), la piena operatività del registro informatico”.

È quindi rimasta del tutto inascoltata – ha osservato la sentenza – la preoccupazione dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato secondo cui “l’ampliamento dell’offerta dei servizi pubblici non di linea risponde all’esigenza di far fronte ad una domanda elevata e ampiamente insoddisfatta, soprattutto nelle aree metropolitane, di regola caratterizzate da maggiore densità di traffico e dall’incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione”. La norma censurata ha pertanto causato, in modo sproporzionato, “un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività”. I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a dare effettività alla libertà di circolazione, “che è la condizione per l’esercizio di altri diritti, per cui la forte carenza dell’offerta” – che colloca l’Italia fra i Paesi europei meno attrezzati al riguardo – generata dal potere conformativo pubblico ha indebitamente compromesso “non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese”.

Per l’associazione di categoria Anitrav quella della Consulta è “una sentenza epocale destinata a cambiare il trasporto pubblico locale nei prossimi decenni”, dice l’avvocato Valerio Natale dello studio legale internazionale Hogan Lovells che ha assistito l’associazione. “La Corte ha letteralmente smontato lo storico assetto protezionistico a favore dei taxi che da tempo impediva lo sviluppo di una mobilità all’altezza di quella di altri paesi. Grazie a questa sentenza i Comuni potranno immediatamente risolvere la questione delle file in stazioni e aeroporti rilasciando nuove autorizzazioni Ncc, che potranno operare tramite le app di intermediazione”.

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