“Lo Stato di Israele ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza illegale nei Territori palestinesi occupati il più rapidamente possibile, di cessare immediatamente tutte le nuove attività di insediamento, di evacuare tutti i coloni e di risarcire i danni arrecati”. Nonostante le Nazioni Unite ripetano da decenni che le colonie israeliane nei Territori occupati sono illegali, considerando i confini precedenti alla Guerra dei Sei Giorni del 1967, viste le incessanti autorizzazioni alla costruzione di nuovi insediamenti l’Assemblea generale dell’Onu aveva deciso di richiedere un nuovo parere consultivo ai giudici del tribunale internazionale. E la risposta da L’Aja è stata la medesima: quelle colonie sono “illegali“.

Se la speranza delle Nazioni Unite era quella di riportare il governo israeliano sulla strada della legalità, le dichiarazioni che arrivano da Tel Aviv vanno invece nella direzione opposta. I ministri della destra radicale dell’esecutivo israeliano, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, hanno infatti chiesto “l’annessione” di larghe parti della Cisgiordania in risposta al parere espresso dalla Corte. Poco dopo il concetto è stato ribadito anche dal primo ministro, Benjamin Netanyahu, secondo cui “il popolo ebraico non è conquistatore nella propria terra, né nella nostra eterna capitale Gerusalemme, né nella terra dei nostri antenati in Giudea e Samaria“. E ha promesso che “nessuna falsa decisione dell’Aja distorcerà questa verità storica, così come non si può contestare la legalità dell’insediamento israeliano in tutti i territori della nostra patria”. E anche colui che è considerato un leader più moderato rispetto all’attuale esecutivo, l’uomo che la Casa Bianca ha individuato come interlocutore nel caso di una fine dell’esecutivo Netanyahu, Benny Gantz, adotta questa falsa narrativa: “È l’ennesima testimonianza di un’ingerenza esterna che non solo è controproducente per la sicurezza e la stabilità regionale e trascura il massacro del 7 ottobre e il terrorismo in Giudea e Samaria, ma serve come un altro esempio di ‘giudizializzazione’ di un conflitto politico. Continueremo a difenderci da chi cerca la nostra distruzione e di proteggere l’unico e solo Stato ebraico“.

Le repliche non rappresentano un sentimento minoritario all’interno del panorama politico israeliano. Tutt’altro. Lo dimostra il voto del 18 luglio, quando la Knesset, il Parlamento israeliano, con 68 voti a favore e solo 9 contrari ha approvato una risoluzione che respinge l’istituzione di uno Stato palestinese, la via indicata dalla comunità internazionale come l’unica in grado di portare a una pacificazione duratura tra i due popoli. Il pronunciamento dell’assemblea israeliana non ha lasciato indifferenti nemmeno alcuni governi europei. Così, l’Ungheria, da quanto si apprende, nel corso della riunione dei 27 rappresentanti permanenti (Coreper) in vista del prossimo Consiglio europeo Affari Esteri, ha deciso di bloccare la dichiarazione congiunta sul conflitto a Gaza proprio perché la presa di posizione della Knesset cambia sensibilmente la postura che le cancellerie di Bruxelles intendono assumere.

Dall’Autorità Nazionale Palestinese, invece, arrivano commenti positivi sul pronunciamento dei giudici de L’Aja: “Una vittoria della giustizia – ha dichiarato il presidente Abu Mazen – L’occupazione israeliana è illegale e Israele deve porre fine alla sua occupazione e alla sua presenza in Cisgiordania, cessare immediatamente qualsiasi attività di insediamento ed evacuare i Territori”. La presidenza dell’Anp ha poi chiesto alla comunità internazionale di “obbligare Israele a porre fine completamente e immediatamente alla sua occupazione e al suo progetto coloniale, senza restrizioni o condizioni”.

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