Cronaca

Migranti, l’Europa non decide sulla legge “anti-soccorsi”. Le ong: “Non si può stare in silenzio mentre le persone muoiono in mare”

“La Commissione europea ritarda la decisione sulla legge italiana che limita il salvataggio di vite umane nel Mediterraneo mentre il bilancio delle vittime aumenta”. È questa la denuncia di Asgi, Emergency, Msf, Oxfam Italia che dodici mesi fa avevano presentato cinque distinte denunce sul decreto-legge Piantedosi e sulla pratica dei “porti lontani”. Una procedura di reclamo per chiedere alla Commissione se queste misure rispettano il diritto dell’Unione Europea. Ma la decisione non è ancora arrivata. “Dopo un anno di attesa, la Commissione ha comunicato di aver bisogno di più tempo per esaminare le nostre denunce – afferma Juan Matias Gil, capomissione per le attività di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere – temporeggiando, la Commissione perpetua l’ostruzione sistematica del salvataggio di vite umane nel Mediterraneo. Non possiamo perdere altro tempo perché il numero di persone che muoiono in mare è in aumento”.

L’oggetto della denuncia è duplice. Innanzitutto vi è il decreto legge 1/2023 che stabilisce che dopo un salvataggio in mare le navi di ricerca e soccorso debbano raggiungere senza ritardo il Place of Safety (Pos) assegnato. Una disposizione che impedirebbe alle imbarcazioni di assistere altre navi in difficoltà nell’area. Secondo i dati raccolti da Sos Humanity, il decreto legge è stato utilizzato in 22 casi per fermare le navi di ricerca e soccorso umanitario nei porti italiani, per un totale di 480 giorni di detenzione. “In alcuni di questi casi, il fermo è stato giustificato con la presunta mancata osservanza da parte delle navi di ricerca e soccorso delle istruzioni della guardia costiera libica durante le operazioni di salvataggio in acque internazionali – aggiungono le ong – tuttavia, i tribunali italiani hanno successivamente dichiarato illegittime alcune di queste detenzioni, da ultimo il Tribunale di Crotone”.

E poi c’è la pratica dell’assegnazione di porti di sbarco distanti “che non è inclusa in nessuna legislazione italiana – dicono le ong – ma è diventata prassi comune dal dicembre 2022”. Per la responsabile advocacy di Emergency, Francesca Bocchini, si tratta di “una violazione del diritto internazionale che esaspera le sofferenze delle persone soccorse ritardando il loro accesso ai servizi essenziali, dirotta risorse finanziarie dalle operazioni di salvataggio e allontana le navi di ricerca e soccorso dalle aree in cui sono più necessarie”. Dal 2023 ad oggi, le ong impegnate nel soccorso hanno perso 520 giorni per raggiungere i porti lontani (stime Sos Humanity). Giorni che avrebbero potuto essere dedicati al salvataggio delle persone in difficoltà in mare. “È stato sancito da diversi tribunali italiani che l’uso di questa legge viola gli obblighi stabiliti dalle convenzioni internazionali sul diritto del mare e i diritti di associazione e libertà di opinione delle organizzazioni della società civile, inclusi anche nei trattati dell’Ue – afferma Lucia Gennari dell’Asgi – si tratta di violazioni che non possono essere ignorate dalle istituzioni europee”. Eppure fino ad ora la decisione non è ancora arrivata. “Serve un’azione immediata per affrontare l’ostruzionismo legale e amministrativo da parte delle autorità italiane alle attività di ricerca e soccorso della flotta civile – conclude Marie Michel, Policy Expert di SOS Humanity – l’Europa non può rimanere in silenzio mentre i leader dei suoi stati membri formulano leggi irresponsabili che mettono ulteriormente a rischio la vita delle persone in mare”.