Migliaia di pulli presi dai nidi in Polonia, trasportati al confine con l’Italia e poi venduti ad allevatori compiacenti. E, alla fine, usati come richiami vivi – cioè esche – in quella pratica anacronistica a vantaggio dei cacciatori di avifauna. Nella maxi-operazione denominata “Turdus aureus” condotta dal Reparto operativo-Soarda del raggruppamento carabinieri Cites, insieme al Gruppo carabinieri forestali di Perugia e al Centro anticrimine natura di Udine, i militari hanno scoperto e bloccato l’attività illegale di traffico di uccelli sull’asse Polonia-Italia. In particolare, i 131 carabinieri forestali impiegati nell’attività investigativa hanno sequestrato circa 140mila euro in contanti e un migliaio di pulli destinati alle doppiette.
Si tratta di un business illecito – di cui ilFattoQuotidiano.it si era occupato qui – che vale circa 15 milioni di euro all’anno. E che l’attuale governo, strizzando l’occhio al mondo venatorio, si guarda bene dal voler contrastare. Al contrario. Con le modifiche alla legge sulla caccia (157/92), la maggioranza vorrebbe sottrarre i richiami vivi dalla tutela che la 157/92 riserva agli animali selvatici, patrimonio indisponibile dello Stato. Ma come funziona il fenomeno? Per ogni capo catturato e venduto, i trafficanti polacchi intascano dai 20 ai 30 euro, somma che include il trasporto fino alla frontiera orientale italiana. Da qui vengono smistati ad altri trafficanti italiani, che poi li distribuiscono nella Penisola (nel caso specifico: Lombardia, Toscana, Campania e Umbria) rivendendoli ad allevatori conniventi per circa 60 euro. Gli allevatori, a loro volta, muniscono i pulli – dalla Polonia arrivano esemplari di bottaccio e cesena – degli anellini inamovibili, obbligatori per legge, che nella normalità andrebbero posti agli uccelli allevati in cattività. Infine rivendono ogni singolo esemplare per 120-150 euro (bottaccio) e 150-200 euro (cesena).
Le 15 perquisizioni svolte dai carabinieri nei confronti di 14 persone (cinque residenti in Toscana, due in Lombardia, due in Campania e cinque in Umbria) hanno portato al sequestro di circa 140mila euro. Sequestrati, inoltre, 164 esemplari morti di avifauna appartenente a specie protetta e particolarmente protetta e 763 esemplari vivi appartenenti alle specie di tordi, merli e cesene privi di anello identificativo o con anello identificativo alterato, che sono stati affidati alle cure di centri di recupero animali selvatici. Uno degli indagati è stato arrestato per detenzione abusiva di armi clandestine: in casa aveva un fucile da caccia con la matricola abrasa. I reati contestati a vario titolo e in concorso continuato tra loro sono associazione per delinquere, sostituzione di persona, frode in commercio, maltrattamento di animali, furto e furto aggravato, ricettazione, riciclaggio e impiego in attività economiche o finanziarie di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, uso abusivo di sigilli e strumenti veri, detenzione abusiva di armi, alterazione di armi, armi clandestine e detenzione illegale di munizioni.
“Si tratta di una delle più grandi operazioni messe a segno dai carabinieri forestali sul traffico illegale di richiami vivi – dice Katia Impellittiere, vicepresidente Lac – Questa è la conseguenza della deregulation e liberalizzazione senza precedenti portate avanti da esponenti del governo e delle Regioni per favorire un mercato nero per la caccia alla migratoria, business da milioni di euro l’anno. Ciò che chiediamo è di abolire per sempre e subito i richiami vivi. Ringraziamo i militari per il loro impegno”. “Sono anni che puntiamo il dito verso gli uccelli da richiamo per la caccia, denunciando come questi animali siano vittime di un enorme e redditizio traffico, fatto di associazioni criminali, falsi allevatori e anelli manomessi – aggiunge Andrea Rutigliano del Cabs – eppure le risposte che riceviamo vanno nella direzione opposta a quella auspicata: la politica tanto regionale (in primis quella lombarda) quanto quella nazionale – con gli ultimi emendamenti ‘caccia selvaggia’ per ora fortunatamente rigettati – si è mossa solo per proteggere i bracconieri e tacitare i controlli. Le stesse associazioni venatorie hanno tenuto un atteggiamento indecoroso, negando l’evidenza pur di mantenere in vita una forma di caccia – quella agli uccelli migratori – che va troppo spesso a braccetto col bracconaggio”.
Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it