di Tito Borsa

Il 19 luglio 1992 un’autobomba uccideva il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. Una strage avvenuta neanche due mesi dopo quella analoga di Capaci, dove persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, una strage che faceva parte di un disegno di Cosa Nostra che, 32 anni dopo, non è ancora diventato verità storica e giudiziaria.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricordando quella strage, avvenuta 57 giorni dopo quella di Capaci, l’ha definita “l’apice della strategia terroristica condotta dalla mafia”. Dobbiamo però ricordare anche le stragi di Firenze e di Milano, 5 morti ciascuna, tra cui una bambina che non aveva nemmeno due mesi di vita, Caterina Nencioni. Non c’è alcuna gerarchia delle morti, ovviamente, ma le bombe esplose sul “continente” tra Firenze, Roma e Milano nel 1993 stanno rapidamente sparendo dalla memoria collettiva. Il Capo dello Stato ha proseguito: “Con atti spietati di guerra, si voleva piegare lo Stato e sottomettere la società. Le istituzioni e i cittadini lo hanno impedito”. Vorrei essere d’accordo con lui ma sono ben più pessimista.

I fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, tra i principali responsabili delle bombe di mafia tra il 1992 e il 1993, vengono arrestati il giorno dopo la celeberrima discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel gennaio 1994. Coincidenze, naturalmente, che diventano coincidenze ancor più sorprendenti dopo che la sentenza che nel 2014 ha condannato in via definitiva Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa ha stabilito che grazie a Dell’Utri “veniva raggiunto un accordo che prevedeva la corresponsione da parte di Silvio Berlusconi di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione da lui accordata da Cosa Nostra palermitana”. Un patto indicibile che, secondo i giudici, sarebbe andato avanti dal 1974 al 1992.

Dov’è la vittoria dello Stato e della società civile che, secondo Mattarella, impedirono il piano di Cosa Nostra? Passato il ciclone Tangentopoli nel 1994 vince le elezioni e va al governo proprio quel Silvio Berlusconi che, secondo sentenze definitive, ha pagato regolarmente Cosa Nostra per quasi vent’anni.

Al ricordo della strage di via D’Amelio si aggiunge anche il presidente del Senato Ignazio La Russa, che definisce Borsellino “un valoroso italiano che ha affrontato con fermezza la criminalità organizzata, dedicando la sua vita al servizio della collettività. Il suo esempio è presente in ognuno di noi e continua a essere un faro per chi crede nella giustizia e nella legalità”. Parole sacrosante, naturalmente, ma che stridono con la pluridecennale vicinanza di La Russa a Forza Italia, fondata dal condannato per concorso esterno in associazione mafiosa Marcello Dell’Utri e da Silvio Berlusconi.

Ma ormai in Italia tutto è possibile. È possibile rimuovere dalla memoria collettiva i morti delle bombe di mafia sul “continente” (quanti ventenni conoscono questa storia?), è possibile intitolare un aeroporto a un pregiudicato per frode fiscale, è possibile che le prime due cariche dello Stato siano rispettivamente il fratello di una vittima di mafia e un politico che è stato politicamente vicino a chi la mafia l’aveva foraggiata.

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