Le particelle ultrafini emesse dagli aerei sono un problema finora sottostimato, portato ora alla luce da un nuovo studio commissionato dal gruppo ambientalista Transport & Environment – come si definiscono loro stessi, “cittadini europei che si battono per la decarbonizzazione dei trasporti e dei consumi energetici”. Pubblicato a maggio ed eseguito da CE Delft – organizzazione indipendente di ricerca ambientale – il corposo studio “Health Impacts of Aviation UFP Emissions in Europe” (Impatti sulla salute delle emissioni di particelle ultrafini dell’aviazione) racconta in quasi sessanta pagine una tragica realtà: i motori dei jet sono i peggiori in assoluto sotto il profilo delle emissioni di particelle ultrafini (UFP o anche PM0,1), cioè quel particolato atmosferico con un diametro inferiore a 0,1 micron, 1000 volte più sottile di un capello e capace di penetrare nell’organismo umano attraverso i polmoni, insediandosi nel sangue, nel cervello e nella placenta.
Aeroporti osservati speciali – Lo studio è incentrato sui 32 aeroporti più trafficati d’Europa in un raggio compreso tra 5 e 20 km. In tutto sono coinvolte 52 milioni di persone, oltre il 10% della popolazione europea. Nella sola Parigi sono interessati a questa forma di inquinamento 8 milioni di individui residenti intorno ai due aeroporti della capitale (Orly e Charles de Gaulle). Quanto all’Italia, si tratta di 900.000 lombardi e di 700.000 laziali che vivono intorno a Milano Malpensa e a Roma Fiumicino – in tutto 1,6 milioni di connazionali. Per la raccolta dei dati, gli scienziati si sono basati su precedenti studi condotti su alcuni aeroporti coinvolti. Risultato? L’aria nel raggio di 5 km da uno scalo molto trafficato contiene mediamente 3000-10.000 particelle ultrafini per cm3, emesse dagli aerei in fase di atterraggio e decollo. “Le UFP fanno parte delle cosiddette emissioni non di CO2 degli aerei, che includono molti inquinanti tossici, sia gas che particelle, come gli ossidi di azoto o l’anidride solforosa”, si legge sul sito di T&E. Inquinanti questi che non sono considerati nello studio, ma anch’essi con effetti sulla salute a carico dell’apparato respiratorio, soprattutto per i soggetti più fragili – bambini, asmatici e sofferenti di bronchite cronica. E non mancano le conseguenze ambientali. Come riporta l’Arpa Piemonte, gli ossidi di azoto influiscono in modo decisivo sulla formazione dello “smog fotochimico”, particolare forma di inquinamento tipica delle giornate stabili e soleggiate, riconoscibile per il colore che va dal giallo al marroncino (indice della presenza di sostanze tossiche pericolose per l’uomo, la flora e la fauna); da parte sua, l’anidride solforosa contribuisce alla formazione di piogge acide. “Queste emissioni hanno anche un effetto dannoso sul clima, rendendo il contributo dell’aviazione al riscaldamento globale almeno due volte peggiore di quanto comunemente si pensi”, prosegue T&E, aggiungendo che la formazione delle scie chimiche è legata agli UFP prodotti dagli aerei in alta quota, con forti ripercussioni sul cambiamento climatico.
UFP e rischio sanitario – Anche per quanto riguarda la salute, brutte notizie. Le particelle ultrafini sono prodotte dai motori a combustione (aerei in primis, come detto), dai riscaldamenti domestici e dai processi industriali. Partendo dai dati sanitari di uno studio del 2022 eseguito intorno all’aeroporto olandese di Schilpol, gli scienziati di CE Delft sono arrivati a stime di forte impatto: le UFP potrebbero causare, nella popolazione europea esposta, 330.000 casi di diabete, 280.000 di ipertensione e 18.000 di demenze. E le cose potrebbero andare peggio, dato che sono considerati solo i residenti nel raggio di 20 km (quasi sempre persone a basso reddito), e non quelli che vivono oltre questo limite e tanto meno gli impiegati aeroportuali, di sicuro più esposti. Senza contare che di aeroporti ce ne sono molti di più, anche se meno ampi e trafficati. Ma nonostante gli allarmi ormai quindicennali dell’OMS sulla pericolosità delle particelle ultrafini, a tutt’oggi non ci sono leggi specifiche sulla loro concentrazione nell’aria. I limiti riguardano il PM2,5, di cui fanno parte anche le particelle ultrafini, che però in quanto minuscole potrebbero essere presenti in elevate quantità nell’aria senza che vengano superati i limiti di legge.
Possibili soluzioni – Si potrebbero però ridurre fino al 70% le emissioni di UFP con un carburante di miglior qualità, contenente meno zolfo e composti aromatici, sostanze particolarmente nocive di cui si può limitare la concentrazione con l’idrotrattamento, tecnica di ormai lungo impiego per i carburanti di navi e auto. Il costo? Più che abbordabile (meno di 5 cent al litro), ma elevati i vantaggi per il pianeta. Di pari passo si dovrebbero ridurre le dimensioni degli aeroporti e il numero dei voli (si sta però andando nella direzione contraria) e arrivare quanto prima ad aerei a zero emissioni.