Per la prima volta dopo oltre un decennio, l’opposizione venezuelana ha una possibilità di vittoria sugli eredi del chavismo. Alle elezioni Presidenziali del 28 luglio, il capo dello Stato Nicolás Maduro, leader del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV) in carica dal 2013 ed erede di Hugo Chávez, dovrà affrontare un candidato, Edmundo González Urrutia della coalizione Plataforma Unitaria Democrática (PUD), che ne può minare la stabilità. Si tratta di un voto cruciale per il futuro della democrazia che sta vedendo una campagna elettorale segnata da arresti arbitrari, sparizioni forzate e violenze nei confronti di persone ritenute critiche del governo. I temi decisivi per il voto superano i confini nazionali e riguardano anche la crisi umanitaria che ha spinto oltre 7 milioni di venezuelani ad abbandonare il Paese. Senza dimenticare il futuro delle riserve petrolifere, la ripresa dei rapporti con gli Stati Uniti e la continuità delle relazioni con l’Iran, la Cina e la Russia che hanno nel Venezuela un alleato chiave.
I candidati sono dieci, ma l’unico vero confronto è a due. Il politologo e diplomatico Edmundo González Urrutia, favorito dai sondaggi, ha iniziato la sua carriera come segretario dell’ambasciatore venezuelano negli Stati Uniti alla fine degli anni Settanta. È stato ambasciatore del Venezuela in Algeria tra il 1991 e il 1993 e in Argentina durante i primi anni del governo di Chávez. Si è occupato del processo che ha portato a ottenere l’inserimento del Venezuela nel Mercosur e tra il 2013 e il 2015 è stato il rappresentante internazionale della Mesa de la Unidad Democrática, la principale coalizione di opposizione prima dell’attuale PUD. Allo stesso tempo, ha costruito una carriera accademica pubblicando diversi studi, come la biografia dello storico Caraciolo Parra Pérez, e ricerche riguardanti le relazioni internazionali del Venezuela con il Brasile e gli Stati Uniti.
Urrutia è stato scelto dopo che la liberale María Corina Machado, vincitrice delle primarie avvenute lo scorso ottobre e oppositrice del chavismo, era stata dichiarata ineleggibile per corruzione e le era stato impedito di candidarsi. In manifestazioni organizzate in tutto il Paese, l’ex deputata sta sostenendo Urrutia che da candidato poco conosciuto è diventato così un valido rivale del presidente. L’opposizione sfrutta il malcontento della popolazione causato dalla grave crisi che colpisce il Venezuela da più di un decennio: nel 2023, quasi il 52% dei cittadini viveva in condizioni di povertà estrema e con difficoltà di accesso all’istruzione e ai servizi pubblici. Urrutia e Machado denunciano che il chavismo si sta ormai sgretolando dall’interno, che per il governo è impossibile continuare ad andare avanti anche per la mancanza di risorse e che è necessario riprendere i rapporti con Washington. Maduro e i suoi sostenitori attribuiscono invece la colpa dei problemi del Paese agli avversari stranieri, in particolare agli Stati Uniti che starebbero conducendo una guerra economica contro il Venezuela.
Le elezioni non saranno democratiche. Maduro controlla l’esercito e la polizia, tutte le istituzioni statali e gran parte dei media. Da gennaio a oggi, il governo ha imprigionato dieci membri dell’opposizione e altri cinque si trovano nell’ambasciata argentina a Caracas, capitale del Venezuela, perché nei loro confronti è stato diramato un mandato di arresto. Inoltre molti venezuelani che vivono all’estero non hanno potuto registrarsi per votare. La legge venezuelana prevede la possibilità del voto per corrispondenza presso ambasciate e consolati ma a condizioni restrittive: per votare, non è sufficiente la condizione di rifugiato o richiedente asilo, ma gli elettori devono avere ottenuto la residenza nel Paese “ospitante”.
Per provare a garantire un processo elettorale libero, il Brasile e la Colombia insieme agli Stati Uniti stanno negoziando un accordo in cui i partiti si impegnano a riconoscere i risultati e a non perseguitare gli sconfitti alle urne. Negli scorsi mesi il governo ha ritirato l’invito agli osservatori speciali dell’Unione europea, mentre ha invitato il Centro Carter che avrà tuttavia una possibilità di osservazione limitata sui processi di voto e conteggio. Anche se la maggioranza degli elettori voterà contro Maduro, rimangono dubbi sul fatto che il presidente permetta che i risultati diventino pubblici o che li riconosca. Se lasciasse il potere, come sottolineano gli analisti, ciò sarebbe il risultato di un accordo di uscita negoziato con l’opposizione. Insieme ad alcuni funzionari, Maduro è indagato dalla Corte internazionale di giustizia per crimini contro l’umanità e ha più di un incentivo a volere rimanere a Palazzo Miraflores.