“Preferivo farmi le canne più che imbottirmi degli psicofarmaci che mi stavano facendo perdere la testa. Io dovevo scontare una pena lunga e allora con i miei compagni di cella mi sono organizzato. Non devi essere un boss per farlo. Omicidio, spaccio, risse. Non conta la pena. I contatti sono facili da reperire. Profumi, dvd, telefoni, crack ed hashish. Ora ti spiego come arrivano i droni superando i muri di cinta“. Chi parla è appena uscito dal carcere di Secondigliano. Ha scontato una pena lunga. Il suo è un racconto su quanto l’abbandono durante la vita da recluso porti a un abuso di farmaci nelle infermiere delle case circondariali. I droni sono un modo per pensare ad altro. Samuele Ciambriello, garante campano dei detenuti, è netto. “Chi deve sapere sa. Sarebbe facile contrastare l’uso dei droni nel carcere. Sono episodi sporadici, che vanno comunque contrastanti. Il vero problema però non è questo. La droga in carcere c’è sempre stata perché manca tutto il resto. Non ci sono attività ludiche, attività in generale, non ci sono psicologi. Quale dignità stiamo dando ai detenuti? C’è gente che prima del carcere non aveva mai toccato droga e per la noia lì dentro inizia a farne uso”. La Procura di Napoli ha evidenziato quanto le spedizioni di droga e di telefonini tramite i droni sia messa a sistema da diversi gruppi criminali. Diciannove le carceri coinvolte e un grido d’allarme che fa riflettere su quanto le carceri italiane siano sempre troppo buie.

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