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“L’astio” verso Obama, l’attesa per Netanyahu: Biden resiste, ma il suo ritiro è considerato “inevitabile”. E nella raccolta fondi è indietro di 100 milioni da Trump

È la rabbia ad alimentare la determinazione di Joe Biden. Dietro la decisione di non ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca non ci sarebbe solo la convinzione di poter vincere, o la responsabilità politica, bensì un antico risentimento contro Barack Obama. Un rancore conservato per otto anni. Da quando nel 2016 l’allora presidente democratico lo […]

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È la rabbia ad alimentare la determinazione di Joe Biden. Dietro la decisione di non ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca non ci sarebbe solo la convinzione di poter vincere, o la responsabilità politica, bensì un antico risentimento contro Barack Obama. Un rancore conservato per otto anni. Da quando nel 2016 l’allora presidente democratico lo convinse a non candidarsi contro Donald Trump, per lasciare il campo a Hillary Clinton che sarebbe stata poi sconfitta dal tycoon. È la teoria di alcuni stretti collaboratori di Biden, raccolta da Axios, che motiva così il ritardo dell’ormai “inevitabile” ritiro del candidato dem. Questo nonostante, dall’isolamento Covid della sua residenza privata nel Delaware, il presidente abbia scritto su X: “Questa è l’elezione più importante della nostra vita. E io la vincerò”. Eppure l’abdicazione, secondo alcune fonti, è programmata per la prossima settimana, dopo che Biden avrà incontrato Benjamin Netanyahu a Washington. Un ultimo impegno istituzionale, prima di lasciare a qualcun altro il compito di tentare la rimonta. I repubblicani, infatti, sono sempre più lanciati, come sembrano dimostrare, oltreché i sondaggi, anche le donazioni dei finanziatori della campagna elettorale. Secondo il Financial Times, che ha fatto un’analisi comparata dei dati, i gruppi di raccolta fondi allineati con il candidato repubblicano hanno messo da parte 431,2 milioni di dollari, 98,9 milioni in più di quelli pro-Biden, che ne hanno raccolti “solo” 332,4 milioni.

Per le fonti raccolte da Axios esiste un parallelo tra la campagna 2016 e quella di quest’anno. Quando Donald Trump vinse, otto anni fa, Biden si pentì di non essersi candidato a causa delle pressioni del partito e in particolare di Obama. Era convinto di poter battere il tycoon. Ora, nel 2024 , non vuole ripetere lo stesso errore. Crede di essere il candidato dem più forte, l’unico in grado di bloccare l’ascesa repubblicana. Nonostante nel suo partito sembri l’unico a pensarlo. Alla Unity Dinner – la cena dell’unità, l’evento di raccolta fondi in North Carolina, uno degli Stati chiave per la conquista della Casa Bianca – l’ex speaker della Camera e decana dei democratici, Nancy Pelosi, non ha fatto accenno al futuro di Joe Biden e alla sua candidatura. Ha parlato delle battaglie condotte dalla Camera, sottolineato l’importanza dei fondi pubblici per l’istruzione e dei pericoli dell’agenda repubblicana. Quando ha menzionato Biden lo ha fatto solo solo delle sue politiche. “Siete pronti per un presidente democratico?”, ha chiesto fra gli applausi del pubblico.

Ma, al di là degli applausi, la raccolta fondi non procede bene. Nel secondo trimestre, complice la condanna di Donald Trump, i repubblicani hanno raccolto più fondi di Joe Biden. Quasi 100 milioni in più. Secondo il Washington Post, i donatori democratici stanno finanziando un processo di valutazione preliminare dei papabili candidati alla vicepresidenza, nel caso in cui Joe Biden dovesse fare un passo indietro e lasciare la corsa alla Casa Bianca. Sta aumentando l’ansia, il tempo che stringe in vista della convention di Chicago, in programma dal 19 al 22 agosto. Al momento sono stati contattati i governatori della Pennsylvania Josh Shapiro e del Kentucky Andy Beshear. C’è interesse anche per i governatori della North Carolina Roy Cooper e del Michigan Gretchen Whitmer, ma anche del senatore dell’Arizona Mark Kelly. La data del ritiro sembra avvicinarsi. Il primo ministro israeliano Netanyahu incontrerà Biden a Washington martedì prossimo. Inizialmente l’incontro sarebbe dovuto avvenire lunedì 22 luglio, ma – secondo quanto riferisce il Times of Israel – è slittato al giorno successivo perché il presidente Usa ha il Covid-19.

La lista di chi ha abbandonato il carro Biden continua ad allungarsi: sono oltre trenta gli esponenti democratici al Congresso che hanno invitato il presidente a lasciare la corsa. Nelle ultime ore anche il senatore Joe Manchin, un democratico diventato indipendente, ha esortato il presidente a rinunciare alla sua candidatura e a concentrarsi sui mesi rimanenti della presidenza. “Sono giunto con il cuore pesante alla decisione che debba passare il testimone a una nuova generazione”, ha dichiarato Manchin alla Cnn, associandosi al giudizio del 61% degli americani. Secondo un sondaggio di Abc-Ipsos, infatti, quasi due cittadini statunitensi su tre vorrebbero una sostituzione in corsa. Diversa, almeno per il momento, la posizione della vice presidente, Kamala Harris. Nonostante nelle ultime ore si siano rafforzate le voci secondo le quali potrebbe essere lei la candidata alla Casa Bianca a novembre, Harris ha ribadito il suo sostegno a Biden. “Vinceremo, non sarà facile, bisogna crederci e combattere per questo”, ha dichiarato durante una raccolta fondi a Cape Cod, invitando la folla a “lottare per lui”. Come sta facendo lei, portando avanti da sola la campagna elettorale, mentre l’attuale candidato, 81enne, è bloccato a casa con il Covid.