La prima conseguenza del terremoto politico scatenato dal ritiro di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca è il ritrovato entusiasmo dei sostenitori della causa democratica. In poche ore, i gruppi di donatori hanno rimpinguato le casse del partito con più di 150 milioni di dollari. Fondi fondamentali per impostare la nuova campagna elettorale di Kamala Harris. La vicepresidente in carica, infatti, è stata designata da Biden come sua sostituta nelle elezioni che si terranno tra poco più di tre mesi. Una decisione che sta trovando numerosi sostenitori tra i membri democratici del Congresso, ma che dovrà prima essere ratificata dalla convention dem, in programma dal 19 al 22 agosto, a Chicago.
Il primo intervento di Harris
Nel partito c’è chi nutre molti dubbi sulle reali possibilità di Harris di battere Donald Trump. Timori condivisi, dicono fonti vicine al presidente, anche dallo stesso Biden e che fino all’ultimo momento gli avrebbero fatto rimandare la decisione di ritirarsi. L’attesa era quindi per il primo intervento pubblico dopo il ritiro nel quale, però, Harris si è limitata a ringraziarlo per il lavoro svolto fino a oggi: “L’eredità e i risultati di Joe Biden sono senza pari nella storia moderna”, ha detto sottolineandone “l’onestà e l’integrità”. Nel frattempo, i repubblicani stanno già giocando le contromosse.
Trump grida alla frode
Trump, che ha battezzato l’ex sfidante come “il peggior presidente della storia degli Stati Uniti”, si è detto sicuro di battere Harris: “Sarà ancora più facile di sconfiggere Biden”, ha dichiarato. E il suo partito chiede di essere rimborsato per frode: dopo avere impostato la campagna elettorale contro Biden, “dobbiamo cominciare tutto da capo”, ha scritto il tycoon in un post su Truth. “Così, siamo costretti a spendere tempo e denaro per combattere il disonesto Joe Biden, il quale, dopo un pessimo dibattito, va male nei sondaggi e abbandona la corsa. Ora dobbiamo ricominciare tutto da capo. Il partito repubblicano non dovrebbe essere rimborsato per frode, in quanto tutti coloro che circondano Joe, compresi i suoi medici e i Fake News Media, sapevano che non era in grado di candidarsi o di essere presidente? Solo per chiedere?”, scrive Trump nel suo post.
“Nessun problema di salute per Biden”
In attesa che sia lo stesso Biden a spiegare alla nazione le ragioni del suo ritiro – in questo momento si trova in isolamento nella sua residenza privata nel Delaware per aver contratto il Covid -, continuano le speculazioni sul perché abbia deciso di ritirarsi. Le pressioni del suo partito hanno avuto senz’altro un ruolo centrale. Con questo Biden era impossibile battere Donald Trump, sempre più lanciato nei sondaggi dopo il fallito attentato della scorsa settimana, in Pennsylvania. Sono state troppe le incertezze, le dimenticanze e le gaffe del presidente. Ma la Casa Bianca smentisce che dietro il ritiro ci siano motivi di salute. Nessuna dimissione all’orizzonte: Biden, che compirà 82 anni a novembre, concluderà tranquillamente il suo mandato nei prossimi mesi. Nelle ultime settimane era stato lo stesso presidente a ribadire più volte che solo un motivo di salute lo avrebbe spinto ad abbandonare la corsa.
Il nuovo slancio dem, ma restano i dubbi
Intanto prosegue il boom di donazioni per il partito democratico americano. Da quando Harris ha lanciato la sua campagna, sono stati raccolti fra i piccoli donatori più di 150 milioni di dollari. Dopo il ritiro di Biden, la vicepresidente ha passato più di 10 ore al telefono con oltre 100 leader di partito, membri del Congresso, governatori, dirigenti sindacali e leader di organizzazioni per i diritti civili e di advocacy, per capire quale fosse il consenso intorno alla sua candidatura. Dall’account email della vicepresidente stanno partendo le prime comunicazioni con il logo “Harris for President”, un altro piccolo segnale del fatto che il suo team si stia muovendo rapidamente per assicurarsi la nomination. La strada sembra spianata, dato che anche i suoi potenziali rivali la sostengono: tutti i suoi ipotetici sfidanti le hanno già dato l’endorsement, compresi i governatori di California, Michigan, Pennsylvania, Illinois, Minnesota, Wisconsin e Kentucky.
Chi appoggia Harris
Uno dei primi a esporsi in suo favore è stato il governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, alla guida di uno degli stati chiave per la conquista della Casa Bianca, dichiarando il suo sostegno a Harris. È lui uno dei papabili vice di Harris, la quale ha ricevuto anche l’appoggio di Gavin Newsom, il governatore della California: “Con la democrazia e il nostro futuro in gioco, nessuno è meglio di Kamala Harris per guidare il nostro paese nella giusta direzione”, ha affermato. Secondo alcune fonti interne ai dem, però, c’è una corrente interna al partito che conserva ancora molti dubbi su Harris. La paura è che non sia una candidata sufficientemente forte per battere Trump. Timore manifestato pure da Biden: anche per questo motivo, spiegano le fonti, il presidente ha esitato così tanto prima di cedere il passo. Ma altri nomi di peso stanno sposando, col passare delle ore, la candidatura della vicepresidente. La governatrice del Michigan Gretchen Whitmer servirà come co-presidente della sua campagna dopo averle dato il proprio endorsement uscendo dalla lista dei potenziali sfidanti. Anche l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi in una nota ha garantito il proprio sostegno a Harris: “È con immenso orgoglio e ottimismo che appoggio Kamala Harris per la presidenza”.
I possibili vice
Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, Kamala Harris ha già telefonato a tre dei suoi potenziali “running mate”. A squillare sono stati i cellulari del governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, del North Carolina, Roy Cooper, e del Kentucky, Andrew Beshear. Tutti e tre hanno già dato il loro endorsement alla vice di Joe Biden. In particolare, Shapiro e Cooper guidano due stati in bilico e, come Harris, hanno ricoperto la carica di procuratore generale.
Chi non si è schierato
Tra questi, oltre ad alcuni leader del Congresso, c’è l’ex presidente Barack Obama e l’ex presidente della Camera, Nancy Pelosi. Inizialmente una sorpresa sembrava poter arrivare dal senatore della Virginia Occidentale, Joe Manchin, che ha lasciato il partito democratico all’inizio di quest’anno per schierarsi come indipendente. Secondo Jonathan Kott, un suo stretto consigliere, Manchin stava valutando la possibilità di registrarsi nuovamente come democratico per concorrere alla nomination, sfidandola. Possibilità smentita dallo stesso senatore in un intervento alla Cbs: “Non ho bisogno di questo nella mia vita. È tempo per una nuova generazione”, ha dichiarato, escludendo anche una sua candidatura alla vicepresidenza. Manchin era stato l’ultimo senatore, in termini di tempo, a chiedere a Biden di abbandonare la sua candidatura, poco prima che il presidente ufficializzasse il suo passo indietro.
La convention di Chicago
Per la conferma ufficiale del nuovo candidato liberal e del suo vicepresidente si dovrà attendere fino al 22 agosto, quando si concluderà la convention nazionale di Chicago. Sarà il Comitato democratico, che si riunirà il pomeriggio del 24 luglio, a determinarne le regole. “È ora responsabilità del Comitato implementare un quadro per selezionare un nuovo candidato, che sarà aperto, trasparente, giusto e ordinato”, hanno affermato i co-presidenti del Comitato, il governatore del Minnesota Tim Walz e l’operatrice democratica di lunga data Leah Daughtry. “Il processo presentato all’esame sarà completo, giusto e rapido”, hanno aggiunto, come riportato dalla Cnn. Per il momento nessun importante esponente del partito democratico ha annunciato l’intenzione di sfidare Harris, anche se manca ancora qualche nome di spicco – come detto – tra quelli che non hanno ancora dichiarato pubblicamente di appoggiarla.