di Valerio Mirarchi
Tra l’agosto e il novembre 1879 Francesco De Sanctis, primo Ministro dell’Istruzione della storia d’Italia, fu consigliere municipale e temporaneo assessore all’Istruzione nel Comune di Napoli. Qui propose come Direttore delle Scuole Municipali Domenico Carbone, illustre patriota e scrittore. Un uomo preparato, competente e perfetto per quel ruolo; sennonché aveva una particolarità: era piemontese.
Nacque un putiferio: il Consiglio Municipale accusò De Sanctis di offesa alla dignità di Napoli, i giornali napoletani scrissero articoli velenosi contro di lui e, siccome nel novembre di quell’anno gli fu offerto nuovamente il ruolo di Ministro dell’Istruzione dal Presidente Benedetto Cairoli, fu mandato a Cairoli stesso un telegramma di protesta. A tutto questo polverone De Sanctis si limitò a rispondere: “non siamo tutti italiani?”. Purtroppo la massa non impara mai dalla storia e ciò che nel passato ci sembra vagamente ridicolo se letto col senno di poi, accade oggi con la stessa frequenza.
È notizia recente che il Segretario generale della Nato abbia scelto uno spagnolo, Javier Colomina, come rappresentante speciale per i Paesi del Sud. Il governo italiano, che pare si sia battuto con forza per l’istituzione di quel ruolo proprio con la speranza di aggiudicarlo ad un italiano, ha reso nota la sua indignazione. Il rappresentante permanente dell’Italia alla Nato, Marco Peronaci, ha inviato una lettera a Stoltenberg in cui si legge che “le autorità italiane hanno appreso della tempistica della decisione con grande sorpresa e disappunto”.
Siamo talmente abituati a questo genere di dichiarazioni che non ci suscitano stupore – Meloni stessa si sta spendendo da tempo per assicurare ad un italiano un ruolo di peso nella futura Commissione Europea. Eppure, questo atteggiamento nasconde inconsapevolmente una visione razzista della società e del mondo. Proprio perché andiamo nella direzione dell’integrazione europea, di fronte alla nomina di Colomina dovremmo dirci, sulla scia di De Sanctis, “non siamo tutti europei?”. E se nella futura Commissione Europea ci saranno pochi italiani, la nostra reazione dovrebbe essere solamente quella di chiedersi: “i commissari nominati sono competenti?”.
Francamente, preferisco di gran lunga essere governato da uno spagnolo o da un olandese competente nel suo ruolo che da un italiano incompetente. Un’obiezione può essere quella per cui esistono sicuramente italiani competenti. Certo. Ma è bene che nella Commissione Europea siano compresi i commissari europei più competenti, a prescindere dalla loro nazionalità. Detto in altre parole: ha senso fare un discrimine tra commissari competenti e commissari non competenti, ma non ha alcun senso fare un discrimine tra commissari italiani, spagnoli, francesi o tedeschi.
L’atteggiamento contrario, quello per cui gli italiani devono essere presenti nei ruoli più importanti a prescindere, sottintende questo ragionamento: gli italiani sono l’etnia migliore che esista al mondo e dunque spetta a loro un posto di rilievo. È lo stesso atteggiamento, condiviso dalla destra, dalla sinistra e dal centro, per cui non si tollera che un italiano che abbia commesso un reato all’estero e che sia stato condannato in un paese democratico possa scontare la sua pena in tale paese. Ed è lo stesso atteggiamento che impedisce la formazione di un esercito europeo, all’interno del quale bisognerebbe accettare il fatto che ufficiali italiani possano prendere ordini da generali portoghesi o polacchi – così come gli ufficiali di altre nazioni potrebbero prendere ordini da generali italiani.
In un mondo in cui l’Europa continua sempre più a perdere peso, rinchiudersi nei piccoli nazionalismi danneggia in primo luogo le stesse nazioni europee, incapaci di fronteggiare i giganti geopolitici attuali.