“Nel nostro Paese non ci sono campi da basket al chiuso. Siamo un gruppo di rifugiati che si sono ritrovati qualche settimana fa dopo un anno, stiamo facendo del nostro meglio, giocando contro alcuni dei migliori giocatori della storia. Questo è più grande del basket per noi”. E non è un caso se vengono soprannominati “bright stars” (“stelle lucenti”). Si allenavano all’aperto su campi allagati e con le aquile che sorvolavano sopra le loro teste passando notti intere senza dormire. Oggi il Sud Sudan partecipa alle Olimpiadi di Parigi 2024. 13 anni dopo aver raggiunto l’indipendenza, il paese più povero del mondo potrà mostrare con orgoglio la propria squadra di basket.

Contro gli Stati Uniti – in un’amichevole terminata 101 a 100 per LeBron e compagni – una vittoria sfiorata che avrebbe avuto dell’incredibile, per un movimento sportivo che è nato solamente 10 anni fa grazie all’attuale presidente della Federazione (e responsabile di reclutamento dei genitori) Luol Deng. Nel 2011 (dopo aver ottenuto l’indipendenza con un referendum indetto alla fine di una lunga guerra civile) disputavano la loro prima gara di pallacanestro, solo qualche giorno fa hanno rischiato di compiere un’impresa senza precedenti: un processo di crescita che parte da molto lontano. “Siamo un Paese fatto a pezzi dalla guerra, abbiamo attraversato tante cose, ogni anno viene sparso tantissimo sangue. Avere qualcosa che ci unisce, per smettere di guardarci l’uno con l’altro in maniera differente, è fondamentale. Siamo un Paese piccolo, 11 milioni di abitanti, ma oggi siamo stati uniti come una sola persona. Spero che continueremo a fare cose del genere nel futuro, così saremo fieri di dire che veniamo dal Sud Sudan”. Parole di Wenyen Gabriel, giocatore Nba che è arrivato negli Stati Uniti dopo un passaggio obbligato dall’Egitto, necessario per poter ottenere il passaporto americano. Rappresentare il paese d’origine (e c’è chi non ce l’ha fatta), però, è sempre stata una sua priorità: “Nei villaggi ci sono alcuni ragazzi davvero molto alti, sono tornato in Sud Sudan per far loro visita e non hanno nemmeno un’opportunità. Alcune persone nel mondo non hanno nemmeno l’occasione di giocare a basket per lavoro. Devono pescare per mangiare, fare cose diverse per sopravvivere”.

Il paese più povero al mondo a Parigi 2024
Se il posizionamento ai Mondiali del 2023 era un miracolo, le Olimpiadi sono una bellissima conferma. Il paese più povero del mondo e dove si vive con meno di 2 euro al giorno (secondo i dati 2024 del Fondo monetario internazionale) sarà a Parigi. Un processo di trasformazione che ha colpito l’intero continente africano: prima di loro, solo Angola e Nigeria si erano qualificate ai Giochi Olimpici. Dal 2013 al 2020 nel conflitto tra etnie rivali – con la contrapposizione fra il presidente Salva Kiir Mayardit e il suo vice Riek Machar -, nel Sud Sudan sono morte quasi 400mila persone, oltre ai 4 milioni di profughi (più di un terzo della popolazione). “È incredibile pensare che solo un anno fa ci allenavamo su campi allagati e con le aquile che ci volavano sopra la testa“, ricorda l’allenatore Royal Ivey. Campi di basket al chiuso inesistenti che hanno costretto la squadra a giocare ad Alessandria d’Egitto e una guerra civile che non ha risparmiato nessuno.

Miracolo Sud Sudan nel segno di Luol Deng
Nativo dell’odierno Sud Sudan, da bambino era scappato in Egitto – dopo che il padre era stato imprigionato in seguito a un colpo di stato – alla ricerca di un futuro migliore. Cresciuto nel Regno Unito e in America, aveva giocato per la nazionale britannica. Dopo il ritiro, l’occasione unica di rappresentare il suo paese d’origine in qualità di presidente della Federazione. “Il Sud Sudan era sempre presente nella mia mente”: Luol Deng ha completato il suo nobile progetto, nel segno di Manute Bol (il giocatore più rappresentativo nella storia del Sud Sudan sempre attento al sociale). Aiutare le persone e dare una solida opportunità, finanziando anche di tasca propria. “Molte persone stanno imparando solo adesso a conoscere il Sud Sudan, quando arriveremo alle Olimpiadi alzeremo finalmente la nostra bandiera e sarà una grande emozione, anche perché i miei connazionali hanno sempre giocato per altri paesi o sotto la bandiera dei rifugiati“. La forza del collettivo. Molti dei giocatori della nazionale arrivano dall’Australia (dove in passato erano richiedenti d’asilo), altri provengono dai campi profughi in Kenya, come dimostra la storia di Nuni Omot. Per un sogno olimpico che vale oltre la pallacanestro.

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