La cartolarizzazione dei crediti non recuperati cara al leghista Massimo Garavaglia non s’ha da fare. Il governo è costretto a un imbarazzante dietrofront sul decreto di riforma della riscossione, approvato in teoria “in via definitiva” il 3 luglio. Il provvedimento è stato inserito in extremis all’ordine del giorno del consiglio dei ministri di lunedì – accanto ai tre testi unici fiscali ampiamente annunciati – con la dicitura “secondo esame definitivo“. La Ragioneria ha infatti bocciato la principale modifica chiesta dalla commissione Finanze del Senato nel suo parere sul testo e recepita dall’esecutivo: la possibilità per gli enti creditori, dopo che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha gettato la spugna, di cedere “pacchetti” di cartelle fiscali a società specializzate nell’emissione di titoli per raccogliere le risorse necessarie a pagare il prezzo di acquisto.

La cartolarizzazione costa – Il nuovo articolo 5 del decreto comparso nel testo esaminato il 3 luglio prevedeva che i vari enti creditori che di norma si affidano all’AdER per la riscossione coattiva – dalle agenzie fiscali a ministeri, Inps, Inail, Comuni – potessero dopo la riconsegna dei carichi non riscossi gestire direttamente il recupero, affidarsi a società private di riscossione oppure cedere i crediti “con trasferimento del rischio, a titolo oneroso, a soggetti privati, con le modalità di cui alla legge 30 aprile 1999 n.130, individuati con procedura di gara a evidenza pubblica”. Una soluzione che puntava a “sfruttare la maggiore efficienza e capacità di operare sul mercato del credito” dei privati “prima di rinunciare a somme da cui lo Stato potrebbe alla fine recuperare risorse importanti”, aveva detto Garavaglia, relatore del decreto, al Sole 24 Ore. Ma la Rgs ha rilevato che vendere i crediti “a titolo oneroso” equivale a rinunciare a parte dell’importo – magari già ridotto – quantificato dagli enti come valore recuperabile, con quello che comporterebbe per la tenuta dei bilanci. Insomma: per procedere servirebbero coperture ad hoc, che non sono state previste. Ergo, l’opzione cartolarizzazione va cancellata con un colpo di penna.

La riforma: più rate, cartelle al macero dopo 5 anni – Resta immutato il cuore del decreto, cioè la previsione – per il futuro, dal gennaio 2025 – del “discarico automatico” (cioè lo stralcio) dei carichi non riscossi entro 5 anni. Sui 1.200 miliardi di magazzino pregresso deciderà invece una commissione nominata dal Mef e composta da un rappresentante della Corte dei conti, uno del dipartimento delle Finanze e un uomo della Ragioneria generale dello Stato. Confermato anche l’aumento del numero massimo di rate mensili su cui i debitori potranno chiedere di spalmare il dovuto, anche se non provano di non essere in grado di pagare subito. In caso di difficoltà economica dichiarata ma non dimostrata, chi farà richiesta nel 2025 e nel 2026 potrà infatti rateizzare in 84 tranche (dalle 72 attuali), chi si farà avanti nel 2027 e 2028 ne potrà ottenere 96 e dal 2029 si arriverà a 108. A partire dal 2031 poi, “a semplice richiesta”, si potrà dilazionare ancora, arrivando a 120 rate mensili. Sopra i 120mila euro di debito, lo stesso si potrà ottenere documentando la propria situazione di difficoltà economica in base a una serie di parametri che verranno dettagliati in un ulteriore decreto del Mef. Il tutto a dispetto del pessimo track record delle rottamazioni, che vedono lo Stato incassare sempre molto meno del previsto perché molti di coloro che aderiscono pagano una rata e poi scompaiono. Il tutto comporterà, nei prossimi 10 anni, una notevole perdita di gettito.

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