“Per contrastare realmente il problema della siccità bisognerebbe passare da un paradigma in cui si crede che esista una soluzione unica, ad un paradigma in cui invece si attiva un processo di azioni di contrasto. Esistono opzioni, cioè una pluralità di soluzioni da scegliere, valide localmente e che però possono non essere generalizzabili e quindi valide ovunque in grado di contrastare l’impatto dei cambiamenti climatici. Ad esempio, quello che funziona nel nord Italia non necessariamente può essere implementato nelle regioni del sud”. Massimiliano Pasqui è fisico del Cnr e ricercatore dell’Istituto per la Bioeconomia, all’interno del quale è nato, nel gennaio del 2019, un Osservatorio sulla siccità (www.droughtcentral.it). “Volevamo mettere a sistema una serie di competenze che un gruppo di colleghi con una formazione eterogenea aveva sviluppato negli anni precedenti per studiare uno degli effetti più impattanti del cambiamento climatico”, spiega Pasqui.
Quando, in Italia, si è cominciato a parlare di siccità?
In Italia ci siamo accorti della siccità soprattutto dal 2006-2007, quando ci fu un inverno particolarmente siccitoso, in cui mancò l’acqua e la neve nei mesi invernali e dunque nella primavera e nell’estate successiva. Il nostro Paese aveva vissuto in realtà altri periodi di siccità importanti, tra i peggiori va ricordato quello alla fine degli anni ’80, ma eravamo in un regime climatico sostanzialmente differente, in cui i periodi di recupero pluviometrico, cioè di cosiddetto ripascimento delle risorse idriche, erano più efficienti e veloci. Quello che invece abbiamo osservato di recente sulla nostra pelle è un aumento della frequenza di eventi significativi di siccità, soprattutto invernali. La siccità, inoltre, ha delle caratteristiche particolari.
Quali?
Pur nella sua specificità, la siccità, quindi la carenza di precipitazioni, ha delle caratteristiche che la accomunano con il cambiamento climatico nel suo complesso. In altre parole, anche se è un aspetto specifico del cambiamento climatico, ha aspetti in comune con la crisi climatica. Dall’altro lato, però, la siccità vive su una scala temporale più diretta e più breve di altri processi climatici, quindi ci fornisce una prova più evidente e tangibile della crisi climatica e quindi della necessità di trasformare il nostro comportamento in maniera più veloce ed efficace. Insomma, è come se fosse un paradigma accelerato del cambiamento climatico, pur mantenendo un elevato grado di complessità. E per questo richiede azioni efficaci, come ad esempio trasformare comportamenti, innovare processi e pianificare infrastrutture essenziali, cioè mettere in campo un insieme di opzioni che possano rispondere alla sua elevata complessità.
La siccità sta seguendo l’andamento previsto dai modelli?
Come spesso ci ha abituato il cambiamento climatico di origine antropica, la realtà supera la fantasia, perché alcuni processi stanno emergendo in maniera accelerata, quindi gli scenari che avevamo anche solo dieci anni fa vengono non solo confermati, ma tendenzialmente rafforzati. C’è un aumento della incidenza, cioè della frequenza degli eventi siccitosi mentre i periodi tra un evento e l’altro si riducono. Ad esempio abbiamo avuto periodi di siccità intensa nelle regioni centro settentrionali nel 2003, 2007, 2012, 2017 e, come ho detto, gran parte di queste siccità nascono nei periodi in cui ci attendiamo gran parte dell’acqua annuale, il semestre a cavallo tra l’autunno e la primavera. Inoltre, ci sono elementi che rendono più critica la situazione, mi riferisco all’aumento delle temperature, sia in inverno che in estate, che implica una maggiore evaporazione che aggiunge pressione sulla risorsa idrica. Spesso siamo in presenza di ondate di calore che avvengono in concomitanza con periodi di precipitazioni ridotte. Certo, fortunatamente l’Italia è ancora un Paese in cui piove molto e in cui c’è una relativa ricchezza d’acqua, ma dobbiamo con urgenza migliorare il suo utilizzo e la sua gestione.
Tra giugno e luglio, abbiamo visto un’alternanza di siccità e piogge intensissime.
Sì, c’è anche una alternanza di periodi di siccità e di abbondanza di precipitazioni, e purtroppo anche di alluvioni. Inoltre, quando l’acqua cade così intensamente, molta scivola via sul terreno e solo in parte ricarica le falde. Ma a chi crede che la precipitazione totale resti la stessa, dico che la tendenza generale è un aumento di questi periodi di assenza di precipitazioni. E l’acqua che evapora e poi ricade sotto forma di pioggia, anche intensa, non è detto che ricada per forza all’interno del nostro territorio nazionale. Lo squilibrio non è sulla quantità in totale ma nella sua distribuzione nel tempo e nello spazio. Questa tendenza è vera per gran parte del Mediterraneo, molto meno evidente sul centro Europa, mentre nelle regioni dell’Europa settentrionale abbiamo un segnale opposto: le precipitazioni stanno aumentando.
Dunque, cosa possiamo fare concretamente per contrastare la siccità?
Avere un comportamento virtuoso come singoli è importante, ma non basta. Occorre agire anche e soprattutto con azioni collettive, delle comunità e soprattutto delle amministrazione locali e nazionali, perché aumentino la capacità di reazione alle condizioni avverse, che chiamiamo resilienza. Grazie ai depuratori, anche, riutilizzare l’acqua in modo da valorizzarla in situazioni in cui ne serve molta. Poi ci sono altre opzioni, come quelle di fare dei laghetti, e piccoli invasi che possono essere utili, sul breve periodo, per situazioni di emergenza, ad esempio quando è necessaria l’irrigazione di soccorso.
I desalinizzatori potrebbero servire?
È evidente che in determinate situazioni è un’opzione possibile ma il punto fondamentale resta uno: abbiamo fatto evolvere le nostre attività produttive ed agricole sulla base del presupposto che la risorsa idrica fosse essenzialmente inesauribile, illimitata e di facile accesso. Questo paradigma non è vero. Quando la scarsità idrica è presente produce danni alle produzioni alimentari, aumenta rischi per gli incendi, può produrre l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e quindi avere ripercussioni socioeconomiche. Occorre ripensare i nostri sistemi di produzione in un’ottica che tenga conto che questa risorsa vitale deve meno sprecata e riutilizzata il più possibile.
Quanto è importante in questo senso che l’acqua rimanga una risorsa gestita dal pubblico?
I privati possono svolgere azioni di supporto importanti e necessarie, ma credo che l’acqua debba rimanere un bene collettivo e quindi pubblico, essendo questa un bene prezioso e fondamentale per ognuno di noi. La sua gestione pubblica deve essere non solo rilevante ma predominante, perché, altrimenti, si potrebbero innescare scelte basate su logiche puramente economiche, non tenendo conto che la disponibilità e l’accesso all’acqua non è negoziabile, e non può essere soggetta se non a logiche che siano quelle del bene comune.