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Usa 2024, con Biden fuori la partita si riapre. Trump chiede i danni (e non ha tutti i torti)

Donald Trump chiede i danni ai democratici e a Biden. È stato frodato, dice, perché gli hanno fatto credere che avrebbe avuto come avversario un vecchio rimbambito e lui aveva preparato tattica e spot della sua campagna in quell’ottica. E, invece, adesso scopre che avrà un rivale diverso, che neppure si sa ancora chi sia, e dovrà cambiare tattica e spot: un danno anche economico notevole; e un azzardo politico. Perché quella che pareva una vittoria ormai acquisita diventa una partita aperta. E lui che s’era abituato a ironizzare sulle fragilità del rivale si ritrova ad essere, indipendentemente dalla scelta democratica, il vecchio del lotto, cioè il più anziano candidato di un grande partito mai in corsa per la Casa Bianca – e, se eletto, il più anziano presidente a entrare alla Casa Bianca.

Le virulente reazioni del ticket repubblicano, il candidato presidente Donald Trump ed il suo vice J.D. Vance, al cambio in corsa democratico, repentino, ma di sicuro non inatteso, testimoniano disappunto, ma anche preoccupazione: la strada che pareva in discesa torna a farsi impervia.

Sul suo social Truth, il magnate ha scritto: “Il disonesto Joe Biden non era idoneo a candidarsi e certamente non è idoneo a servire (non lo è mai stato!). Ha raggiunto la presidenza solo grazie a bugie, notizie false e senza mai lasciare il suo seminterrato. Tutti coloro che lo circondavano, compreso il suo medico e i media, sapevano che non era in grado di essere presidente, e non lo era”.

Lo speaker della Camera Mike Johnson, rilanciando una tesi già sostenuta da Vance, afferma che Biden dovrebbe immediatamente dimettersi, in base all’asserto che “Se non può fare il presidente per un secondo mandato, non è in grado di farlo neppure ora”. La tesi è priva di fondamento giuridico e sanitario ed è pura propaganda politica: fare il presidente per altri sei mesi è un conto, farlo per quattro anni e mezzo è un altro; e, poi, Biden, d’ora in poi, potrà concentrarsi sui compiti della presidenza e non dovrà sobbarcarsi le fatiche della campagna elettorale. Fra i primi prossimi impegni, la visita a Washington del premier israeliano Benjamin Netanyahu: un incontro spinoso, domani, martedì, seguito dal discorso di Netanyahu in Congresso mercoledì.

Usa 2024, le magagne dei democratici

L’impressione che le reazioni di Trump e dei suoi social lasciano è che i repubblicani preferissero avere Biden come rivale, considerandolo debole e, praticamente, votato alla sconfitta. Ma non è che in casa dei democratici tutto fili liscio come l’olio. Il ritiro del presidente, infatti, rilancia la corsa alla nomination democratica, con la sua vice Kamala Harris in pole position. Harris ha già ricevuto l’endorsement del suo capo e di numerosi esponenti del partito, ma dovrà ora guadagnarsi la nomination alla convention democratica di metà agosto a Chicago.

Pur se crea incertezza e confusione, la decisione di Biden è una scossa positiva per i democratici: mentre una piccola folla s’è radunata davanti alla Casa Bianca cantando “Grazie, Joe” per quanto fatto come presidente e per il ritiro, nelle casse della campagna di Harris sono giunti in poche ore, prima della mezzanotte americana, quasi 50 milioni di dollari in piccole donazioni. Uscito della scena di Usa 2024 Biden, restano per i democratici “un sacco di questioni aperte”, osservano i media liberal statunitensi: dalla scelta del candidato a come procedere su un territorio largamente inesplorato.

Harris o non Harris?, questo è il dilemma

Nella lettera in cui annuncia il ritiro, Biden non dà il suo appoggio né alla sua vice né a nessun altro. Ma, in un messaggio successivo, il presidente dà il suo pieno sostegno e il suo endorsement a Harris “perché ottenga la nomination del nostro partito quest’anno”: “E’ l’ora di essere uniti e di battere Trump”. Una differenza studiata: la lettera è un atto ufficiale, una comunicazione del presidente ai cittadini (e il presidente intende parlare alla Nazione nei prossimi giorni e spiegare la sua decisione). Invece, il messaggio su X proviene dal candidato ‘in pectore’ che offre la sua indicazione ai suoi delegati ed al suo partito.

Resta, comunque, da determinare chi sarà il candidato democratico alla Casa Bianca e come sarà designato. I contatti sono febbrili, in queste ore, fra il Comitato nazionale democratico e i notabili del partito: una riunione, forse decisiva, è fissata per mercoledì e sarà aperta a tutti. C’è chi, pur quotato, si fa da parte per sostenere Harris – la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer – e chi, dopo avere lasciato il partito democratico per diventare indipendente ed avere sollecitato a Biden un passo indietro, valuta se scendere in lizza, come il senatore Joe Manchin della West Virginia.

Il Comitato nazionale democratico ora assicura “un processo trasparente e ordinato” per selezionare il candidato alla presidenza e il suo vice. Per prima cosa, bisognerà vedere se qualcuno e chi sfiderà Harris, in vista della convention che potrebbe essere ‘open’, cioè avviarsi senza che il candidato sia già stato designato. E’ una situazione praticamente senza precedenti, con qualche analogia con 1968 (decisione di Lyndon B. Johnson di non ricandidarsi e uccisione di Robert Kennedy). Harris ha ricevuto molti sostegni da personaggi importanti, come ad esempio i Clinton, Bill e Hillary, che, pure, pare non fossero favorevoli al ritiro di Biden. Ma altre figure di riferimento dell’universo democratico, come Barack Obama e Nancy Pelosi, si mantengono neutrali, anche e forse soprattutto per evitare l’impressione di un candidato ‘calato dall’alto’.

La situazione è volatile e potrebbe restarlo fino alla convention di Chicago, dal 19 al 22 agosto. Harris ha dalla sua l’esperienza alla Casa Bianca, il fatto di essere donna – sarebbe la prima volta, una presidente degli Stati Uniti – e di avere una doppia ascendenza di minoranza, afro-americana e asiatica; ma ha contro una bassa popolarità e l’essere stata una vice opaca, che non ha certo brillato sul dossier dell’immigrazione che le era stato un po’ velenosamente affidato.

Biden fuori, come ci si è arrivati

Il ritiro di Biden chiude così tre settimane di grandi fibrillazioni nel partito democratico. Il presidente ha resistito per tre settimane, ma alla fine le pressioni di deputati e senatori, di figure come Obama e Pelosi, le reticenze dei donatori che avevano congelato 90 milioni di dollari, l’andamento dei sondaggi e, infine, l’opinione dei familiari lo hanno convinto.
Il Covid che lo ha costretto all’isolamento negli ultimi giorni, strappandolo alla campagna elettorale, è stato il colpo definitivo, mostrando un presidente fragile e debole e rafforzando la percezione che le possibilità di vincere in novembre fossero ormai ridotte al lumicino.

In isolamento a Rehoboth Beach, nella casa al mare del Delaware, il presidente ha riflettuto, da solo e con i familiari. La decisione finale sarebbe maturata, secondo la ricostruzione di media Usa, sabato sera e il suo staff ne sarebbe stato informato solo domenica mattina, poco prima dell’annuncio ufficiale. Quasi immediatamente, il coro di pressioni perché si ritirasse s’è trasformato in un coro d’apprezzamento per quanto fatto e per la sua decisione: notabili del partito – quelli che sollecitavano un passo indietro -, gente comune e anche leader internazionali.

Ed è già iniziata la caccia al vice, se la candidata fosse Harris. Nella lista dei papabili i governatori di Pennsylvania Josh Shapiro e Kentucky Andy Beshear e il senatore dell’Arizona Mark Kelly, ma chi sogna un ticket tutto rosa pensa ai governatori di North Carolina Roy Cooper e Michigan Whitmer. Improbabile, però, una coppia di donne, anche se Usa 2024 ci ha già reso avvezzi ai colpi di scena.