“Siamo tre detenute in cella. Il bidet viene usato sia per lavarci che per pulire le stoviglie. Le docce sono in comune e ne funziona solo una su due per 15 detenute in sezione. Siamo invase da blatte e formiche. Dal bidet fuoriescono i topi. I materassi sono pieni di muffa. Spesso e volentieri siamo senza acqua e luce. I ventilatori li abbiamo comprati a nostre spese. Non abbiamo mai accesso alla biblioteca. Non ci sono corsi da frequentare. Non c’è nessuna attività”. Questa la testimonianza arrivata ad Antigone da alcune donne detenute. Non un caso isolato, come si può leggere nel dossier dal titolo “Le carceri scoppiano”, presentato questa mattina dall’associazione Antigone.

Come ogni mese di luglio, Antigone fa il punto sulla situazione delle carceri nella prima metà dell’anno. Le carceri scoppiano sempre di più: al 30 giugno 2024 si contavano 61.480 persone detenute per 51.234 posti regolamentari, con un tasso di affollamento ufficiale medio del 120%, che supera tuttavia il 130% se consideriamo gli oltre 4.120 posti non disponibili nella realtà. Un sovraffollamento che non sta risparmiando neanche le carceri minorili, che ne erano tradizionalmente esenti. Sono ben 56 gli istituti per adulti in cui il tasso di affollamento è superiore al 150% e in molti luoghi si supera addirittura il 190% (Milano San Vittore maschile con un affollamento del 227,3%, Brescia Canton Monbello con 207,1%, Foggia con 199,7%, Taranto con 194,4%, Potenza con 192,3%), Busto Arsizio con 192,1%, Como con 191,6% e Milano San Vittore femminile con 190,7%).

Nell’ultimo anno la popolazione detenuta è cresciuta a un ritmo medio di oltre 300 unità al mese. Non sorprende, vista l’introduzione delle tante fattispecie di reato da parte dell’attuale governo, che fin dal proprio insediamento, con il cosiddetto Decreto Rave, ha governato con gli strumenti della necessità e dell’urgenza ampliando a dismisura l’uso del penale e del penitenziario. Oltre all’introduzione di nuovi crimini, si è provveduto a elevare le pene per quelli già presenti, ad allargare le possibilità di ricorso alla custodia cautelare in carcere o alla pena detentiva, nonché l’uso di strumenti amministrativi quali il Daspo urbano (le cui violazioni hanno ampie ricadute nel penale). E sarà molto peggio se verrà approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza governativo oggi in discussione in Parlamento. Le categorie più colpite sono naturalmente le più deboli, come per l’estensione del reato di accattonaggio o la previsione del carcere per donne incinte o con figli di età inferiore a un anno.

Nel settembre 2023, con il Decreto Caivano, fu approvata l’estensione delle pene per i cosiddetti fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti. La normativa sulle droghe costituisce la maggiore causa del sovraffollamento carcerario. Come si legge nel dossier, alla fine dello scorso anno il 34,1% del totale della popolazione detenuta – quasi il doppio della media europea, che è pari al 18% – si trovava in carcere per violazioni del Testo Unico sulle droghe e il 28,9% della popolazione penitenziaria era costituito da persone definite ‘tossicodipendenti’.

Un carcere al collasso, che fa estremamente fatica a gestire una pena che assuma il ruolo che la Costituzione le conferisce. I dati emersi dalle visite di Antigone alle strutture carcerarie ci dicono che solo il 31,5% dei detenuti lavora, quasi sempre alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria impiegata – spessissimo per poche ore settimanali allo scopo di coinvolgere più persone – in piccoli lavoretti domestici che a poco serviranno per ricostruirsi una vita alla fine della pena. La media dei detenuti che lavorano per datori di lavoro esterni è del 3,4%. Dall’osservazione di Antigone emerge inoltre che sono in media il 26% i detenuti coinvolti in corsi scolastici. Inutile dire che in queste condizioni la recidiva è altissima, a tutto discapito della sicurezza della società. Molto bassa è infatti la percentuale di persone detenute che si trovano oggi alla prima esperienza di carcerazione.

L’arrivo dell’estate – con l’interruzione della maggior parte delle attività interne e una minore presenza di operatori e volontari – e del caldo – in strutture costruite spesso quasi integralmente in cemento, in celle roventi e sovraffollate, senza aria condizionata, spesso con schermature alle finestre e con i blindi chiusi durante la notte – ha peggiorato il già drammatico quadro. Dalle ultime visite di Antigone emerge davvero una situazione desolante, che si può leggere in più dettagli nel dossier presentato oggi.

Un dossier che ha voluto ricordare una per una le persone che hanno scelto di togliersi la vita in carcere in questo 2024, già 58 dall’inizio dell’anno e 9 nel solo mese di luglio. I più giovani erano due ragazzi di appena 20 anni, deceduti nelle carceri di Novara e Pavia. Il più anziano era un uomo di 81 anni, deceduto a Potenza. Allarmante è il dato secondo il quale ben 27 persone si sono uccise nei primi sei mesi di detenzione. Di queste, 8 erano in carcere solo da pochissimi giorni. E non meno allarmante il dato opposto: almeno 11 suicidi sono avvenuti tra chi stava per lasciare il carcere per aver finito di scontare la pena o per accedere a una misura esterna. In queste condizioni, la libertà fa paura.

Il decreto emanato dal governo nei giorni scorsi è del tutto insufficiente a far fronte a questo stato di cose. Uno stato di cose che il disegno di legge governativo n. 1660, oggi in discussione in Parlamento, se approvato peggiorerà ulteriormente. Ci auguriamo che il dossier di Antigone possa contribuire a creare consapevolezza sull’attuale stato tragico delle carceri italiane.

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