Diritti

Genere non binario, la decisione della Consulta e il diritto inviolabile alla personalità. Ma deve intervenire il legislatore

Non sentirsi né uomo, né donna e di fatto non aver nessuna collocazione. Eppure essere riconosciuto/a in una identità “altra” non è solo una esigenza personale ma anche un diritto che va riconosciuto sia per il rispetto della dignità sociale che per la tutela della salute, senza dimenticare il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione e quello inviolabile alla personalità (articolo 2). Ci sono questi principi alla base della decisione della Consulta sull’attribuzione del genere non binario che – pur non ammettendo il ricorso di una persona trasgender – ha posto una nuova delicatissima questione al legislatore: quello di intervenire per disciplinare il genere altro. “Le questioni sollevate dal Tribunale di Bolzano… sono inammissibili – si legge nelle motivazioni – pur evidenziando un problema di tono costituzionale, esse, per le ricadute sistematiche che implicano, eccedono il perimetro del sindacato di questa Corte”. È invece il legislatore “primo interprete della sensibilità sociale” a dover intervenire.

Cosa avviene in Europa – I giudici costituzionalisti, nella sentenza 143 redatta da Stefano Petitti, ricordano che “non pochi ordinamenti europei – da ultimo quello tedesco, con la recente legge sull’autodeterminazione in materia di registrazione del sesso («Gesetz über die Selbstbestimmung in Bezug auf den Geschlechtseintrag SBGG») – hanno riconosciuto e disciplinato l’identità non binaria, seppure in forme diversificate”. L’Europa, già in passato, sui diritti e sui temi etici ha dimostrato una visione più ampia e più attenta ai diritti.

I magistrati citano anche altri esempi: “La Corte costituzionale belga ha censurato la delimitazione binaria della disciplina legislativa della transizione di genere, stigmatizzando l’ingiustificata disparità di trattamento fra chi sente di appartenere al sesso maschile o femminile e chi invece non si identifica in alcuno dei predetti generi (arrêt n° 99/2019 del 19 giugno 2019). Lo stesso diritto dell’Unione europea – prosegue la Consulta – da tempo va evolvendo in tal senso, e infatti, per favorire la circolazione dei documenti pubblici tra gli Stati membri, il regolamento (UE) 2016/1191 del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 2016, che promuove la libera circolazione dei cittadini semplificando i requisiti per la presentazione di alcuni documenti pubblici nell’Unione europea e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012, presenta moduli standard recanti alla voce «sesso» non due diciture, ma tre, «femminile», «maschile» e «indeterminato»”.

Dall’altra parte comunque “le indicazioni che provengono dagli ordinamenti degli Stati europei e dalle Corti sovranazionali non sono tuttavia univoche” e per questo si cita l’intervento della Cedu, Corte europea per i diritti dell’uomo che “ha recentemente escluso che l’art. 8 CEDU ponga sugli Stati un’obbligazione positiva di registrazione non binaria, non potendosi ritenere ancora sussistente un consensus europeo al riguardo… In senso analogo si era già espressa la Corte suprema del Regno unito, a proposito dell’identificazione non binaria tramite marcatore “X” sui passaporti”.

La potenziale disparità tra gli individui – “La percezione dell’individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile – da cui nasce l’esigenza di essere riconosciuto in una identità “altra” – genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l’ordinamento costituzionale riconosce centralità (art. 2 Cost.). E l’articolo 2 recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

“Nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può del pari sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute, alla luce degli artt. 3 e 32 Costituzione. In vari ambiti della comunità nazionale – proseguono i giudici – si manifesta una sempre più avvertita sensibilità nei confronti di questa realtà pur minoritaria, come dimostra, tra l’altro, la pratica delle “carriere alias”, tramite le quali diversi istituti di istruzione secondaria e universitaria permettono agli studenti di assumere elettivamente, ai fini amministrativi interni, un’identità – anche non binaria – coerente al genere percepito. Tali considerazioni, unitamente alle indicazioni del diritto comparato e dell’Unione europea, pongono la condizione non binaria all’attenzione del legislatore, primo interprete della sensibilità sociale”.

L’impatto – Non possono essere però i giudici a dover sulla materia per le conseguenze che generebbe. “D’altronde, l’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria”.