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Il ritiro di Biden stravolge anche la campagna di Trump impostata sugli attacchi personali. I contenuti? Finora molte gaffe e fake news

“Sarà ancora più facile che sconfiggere Biden”. Donald Trump sa benissimo quanto le sue parole siano lontane dalla realtà. Il ritiro dalla corsa elettorale di Joe Biden, ormai un dead man walking anche per buona parte del partito e dei supporter democratici, cambia i piani del tycoon e lo costringerà, nei prossimi quattro mesi, a stravolgere la sua campagna elettorale. Che il nervosismo stia crescendo nell’entourage repubblicano lo dimostrano le sue stesse dichiarazioni su Truth, dove ha scritto che dopo avere impostato la campagna elettorale contro Biden “dobbiamo cominciare tutto da capo”. Una campagna incentrata sul tiro al bersaglio e poco sui contenuti, sui quali anche il tycoon ha sparato una serie di gaffe, strafalcioni e falsità coperti solo dalle evidenti difficoltà dell’avversario. Da oggi, chiunque sia il prossimo candidato, Kamala Harris o uno dei governatori in lizza, la musica cambia: difficile andare avanti con i soli attacchi personali, adesso il tycoon dovrà inventarsi qualcos’altro per screditare il proprio rivale.

Harris, il volto ‘quasi nuovo’ che può recuperare i delusi
Harris non può essere considerata un volto nuovo, non è popolare, ma ha una caratteristica importante in questo momento: non è Joe Biden. E la sua scarsa visibilità, nonostante il ruolo di vicepresidente ricoperto negli ultimi quattro anni, potrebbe non essere una cosa totalmente negativa. Il suo stare in seconda fila, l’aver inciso poco nell’ultimo mandato, la scarsa esposizione fanno sì che la Dem possa essere accostata solo fino a un certo punto alla figura ‘perdente’ di Biden. Harris, lavorando nel solco del suo capo, può raccoglierne l’eredità positiva e correggere ciò che non è andato bene senza paura di dover smentire le proprie scelte. Così può recuperare la fiducia di fette dell’elettorato democratico che aveva voltato le spalle all’ex senatore del Delaware.

A differenza di Biden, politico di lunghissimo corso, Harris rispetta lo standard di chi ha realizzato il sogno americano. Figlia di una donna di origini indiane e di un padre giamaicano, donna di colore arrivata ai vertici della giustizia e della politica americana, è il simbolo di un’America che può farcela contando solo su se stessa e sulle proprie capacità. Da queste basi può partire la sua rincorsa per riconquistare i cuori di chi, tra membri del partito, sostenitori illustri, finanziatori e soprattutto donne, minoranze e giovani, non vedevano in Biden il loro candidato ideale. Può spingere ancora più forte sul tema del diritto all’aborto, punto sul quale lo stesso Biden, comunque, si è sempre opposto fermamente alla deriva pro-life dei governatori repubblicani. Può riconquistare l’elettorato arabo e musulmano che si sente tradito dalle politiche smaccatamente pro-Israele del presidente più filo-israeliano della storia: già a novembre il consenso degli arabi americani nei confronti di Biden era crollato dal 59% al 17%, a fine ottobre un altro sondaggio evidenziava come per il 70% degli americani il sostegno a Israele fosse eccessivo, con le guerre in generale, compresa quella in Ucraina, che facevano perdere consensi.

La storia di Harris può certamente riportare sulla sponda Dem una parte dell’elettorato afroamericano deluso, ma anche parte della minoranza ispanica che nutre maggior sfiducia nei confronti dei Dem ma che in parte si aspettava una rottura totale sulla gestione dell’immigrazione rispetto al mandato Trump. Discontinuità che, però, non c’è mai stata.

Come cambia la campagna di Trump
Un cambiamento non di poco conto anche per Donald Trump che ha basato gran parte della sua campagna elettorale non sui contenuti, se non per sparare in diverse occasioni dati completamente falsi o rivendicare successi mai conseguiti, ma sulle presunte difficoltà fisiche e cognitive del suo avversario. Lo ha ammesso, senza vergogna, lui stesso su Truth quando ha sostenuto che il suo partito chiede di essere rimborsato per frode: dopo avere impostato la campagna elettorale contro Biden, “dobbiamo cominciare tutto da capo”. Ed è proprio così: se Harris dovesse diventare la candidata dei Democratici, tra i due sarebbe Trump colui che ha governato per 4 anni, lui il più anziano, lei la semi-novità. La prospettiva si ribalterebbe.

Così, non potendo più giocare solo sul campo che più gli si addice, quello dello scontro senza esclusione di colpi, degli attacchi personali, dei testa a testa televisivi, inevitabilmente The Donald dovrà inventarsi qualcosa di diverso. Intanto, su X sono già impazziti i profili pro-Trump che hanno dato inizio a una campagna di diffamazione nei confronti di Harris, tra vecchi video decontestualizzati, meme, ironie varie e anche fake creati con l’intelligenza artificiale. Ma questo è il lavoro sporco che spetta ai profili X, il candidato repubblicano dovrà invece occupare lo spazio dei comizi elettorali, dei dibattiti tv, delle interviste senza il grande tema delle condizioni del presidente in carica.

Fino a oggi, però, il tycoon ha dimostrato che quando si entra nel merito dei singoli dossier la sua preparazione rimane scarsa. Ha difficoltà a seguire il copione prestabilito dal suo team comunicativo, lanciandosi nei suoi soliti affondi, citando dati inesistenti, pronunciando frasi e attacchi sconclusionati senza un apparente legame tra loro, aggrappandosi alle “fake news diffuse dai media mainstream“. Anche questa potrà essere un’arma in mano a Harris per riconquistare i consensi che la separano in questo momento da Trump: mostrarlo per quello che è, smascherarlo, dando maggiori sicurezze all’elettorato indeciso, sfiduciato o impaurito dal ritorno del repubblicano. Il primo obiettivo, però, è quello di arrivare il prima possibile all’incoronazione da parte dei Dem: solo un partito unito nel sostenerla può spingerla in quella che rimane comunque un’impresa.

X: @GianniRosini