Mercoledì è il giorno in cui Joe Biden dovrebbe finalmente parlare alla Nazione per spiegare la sua decisione di ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca. Ma quella di Kamala Harris, nel frattempo, è già iniziata. Con in tasca i numeri per ottenere un’ormai scontata nomination, la vicepresidente in carica già lancia la sfida a Donald Trump: “Abbiamo ancora 106 giorni davanti e vinceremo”, ha detto nel suo primo evento elettorale dal suo quartier generale a Washington. E per farlo ha intenzione di condurre una campagna senza esclusione di colpi.

Trump paragonato a “truffatori e predatori sessuali”
Se la strategia elettorale del tycoon è notoriamente spregiudicata, senza sconti in fatto di attacchi personali, come appreso a sue spese da Joe Biden, quella di Harris non sembra essere da meno. C’è poco tempo e il margine da recuperare nei consensi non è poco. La futura candidata Dem deve compiere una gran rimonta per poter sperare di diventare la prima presidente donna degli Stati Uniti e questo non lascia spazio a tentennamenti. Così, mentre Donald Trump l’ha ormai ribattezzata la “pazza” e “l’incompetente“, l’ex Procuratrice generale della California usa il suo passato da magistrato per sferrare i primi colpi al candidato repubblicano: “Conosco il tipo Donald Trump“, ha detto ricordando come ha messo sotto accusa truffatori e predatori sessuali.

Harris nella sua prima uscita pubblica, lunedì, non ha fatto riferimento alla sua candidatura, ma ha colto l’occasione per ringraziare Joe Biden per il suo lavoro e ricordare l’impegno profuso per il bene degli Stati Uniti. E anche la decisione di mantenere Jen O’Malley Dillon e Julie Chavez alla guida della campagna, dopo aver condotto quella di Joe Biden, rappresenta un segno di continuità. Una campagna che, oltre a fronteggiare testa a testa Donald Trump, si concentrerà sui temi a lei più cari. Ad esempio, come ha promesso, ci saranno i diritti riproduttivi, a partire dall’aborto, messi a rischio dalle politiche del tycoon e dei governatori a lui fedeli. Inoltre, dopo i numeri record di crimini registrati negli ultimi anni e l’attentato a Donald Trump, spingerà anche per una vera stretta sulle armi, con controlli universali sugli acquirenti, leggi ‘red flag‘ contro le persone ritenute pericolose e il bando delle armi d’assalto.

Lo schiaffo a Netanyahu
La linea dura potrebbe caratterizzare anche l’approccio di Harris in politica estera. Almeno per quanto riguarda il dossier Gaza che ha messo a dura prova anche la fedeltà di Biden alla causa israeliana, arrivando più volte allo scontro con Benjamin Netanyahu senza comunque fare mai mancare il proprio sostegno. L’attuale vicepresidente ha infatti rifiutato di presiedere il Senato quando il premier israeliano parlerà mercoledì al Congresso a camere riunite, come scrive il Washington Post precisando che la decisione era già stata presa prima del ritiro di Biden. Una scelta che potrebbe rappresentare una spia per i futuri rapporti tra Washington e Tel Aviv in caso di elezione di Harris. Anche il premier israeliano deve aver percepito l’irritazione nell’amministrazione Dem, tanto che in modo del tutto irrituale ha chiesto allo staff di Trump di poter avere un incontro con l’ex presidente americano durante la sua visita negli Stati Uniti. Richiesta accolta, come conferma lo stesso Trump sul social truth: “Sono lieto di ricevere Bibi Netanyahu a Mar-a-Lago domani. Durante il mio primo mandato avevamo pace e stabilità nell’area. E l’avremo ancora”.

In verità il programma degli incontri prevede per giovedì i bilaterali (separati) con Biden – guarito dal Covid – e Harris. E solo venerdì – su richiesta dello stesso Netanyahu – il faccia a faccia con Donald Trump in Florida. Del resto, un ordine inverso avrebbe rappresentato uno sgarbo plateale alla Casa Bianca che Bibi non può, per ora, permettersi: il voto americano è ancora a mesi di distanza. E non sai mai cosa potrà uscire dal cilindro elettorale.

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