Da un lato le aziende che gridano al disastro, minacciando licenziamenti e “ripercussioni anche sulla funzionalità del servizio sanitario“. Dall’altro i governatori regionali che fanno i conti e festeggiano, pregustando l’incasso di risorse importanti. Si parla della sentenza con cui la Consulta ha dichiarato non incostituzionale il payback sui dispositivi medici, meccanismo messo a punto dal governo Renzi nel 2015 e attuato da Draghi che prevede la restituzione alle Regioni del 50% di quanto avevano versato ai produttori di strumenti diagnostici, attrezzature, garze, stent, protesi. Eugenio Giani, presidente dem della Regione Toscana a cui le aziende medicali dovrebbero restituire per il quadriennio 2019-2022 oltre 400 milioni, chiede al governo di muoversi subito: “Mi dicano se hanno intenzione di attuare con un decreto la possibilità che la Regione possa abbattere l’addizionale Irpef” che era stata aumentata lo scorso dicembre per evitare tagli alla sanità in seguito alla mancata riscossione dei soldi del payback, visto che c’era un ricorso pendente.
Le associazioni di categoria intanto continuano a paventare fallimenti. Nicola Barni, presidente di Confindustria dispositivi medici, chiede di “porre in atto le indispensabili misure per contenere i disastrosi effetti economici, occupazionali e sociali conseguenti alla sentenza” perché “la filiera industriale dei dispositivi medici è un asset strategico per lo sviluppo del Paese e misure di questo tipo avranno ripercussioni anche sulla funzionalità del Ssn”. E fa appello a Giorgia Meloni e ai ministri direttamente competenti Adolfo Urso, Orazio Schillaci e Marina Calderone, al Parlamento e alle Regioni. Intanto avverte che il payback “avrà conseguenze devastanti sul sistema sanitario stesso che ha bisogno di questi prodotti e servizi per curare i cittadini”.
Massimo Pulin, presidente di Confimi Industria Sanità, la verticale della confederazione che rappresenta la filiera della sanità privata, sostiene che le sentenze della Consulta “decretano l’apertura di una crisi che sino ad oggi è stata soltanto rimandata senza alcuna proposta di risoluzione. A farne le spese saranno le decine di migliaia di lavoratori del settore, occupati nelle 2000 piccole e medie imprese italiane”. Per trovare una soluzione “si potrebbe cominciare con il rivedere il tetto di spesa pubblica destinato ai dispositivi medici”, propone Confimi Sanità.
Per il presidente dell’Acoi (Associazione chirurghi ospedalieri italiani) Vincenzo Bottino, la sentenza sul payback “ricadrà inevitabilmente non solo sulle aziende e su un intero comparto che rischia di entrare in una profonda crisi, ma anche sui nostri pazienti: le loro vite vengono salvate dal gioco di squadra fatto da istituzioni lungimiranti, aziende innovative e chirurghi nelle sale operatorie”. Il 24 ottobre a Roma verrà organizzato “un evento nazionale sul payback dispositivi medici, perché vogliamo che le istituzioni e le associazioni dei pazienti si rendano conto in modo chiaro degli effetti di questa sentenza.”