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Salewa sceglie un testimonial sudanese, poi l’ondata di commenti razzisti. La replica dell’azienda: “Ma la montagna è di tutti”. Ecco cosa è successo

L'azienda è stata costretta a cancellare e bloccare i commenti: "Siamo aperti al dibattito, ma è inutile su Facebook"

“Regalate la merce in Africa”, “Zaini speciali per scassinare”. Nemmeno la montagna e lo sport – che dovrebbero essere, per tutti, un’esperienza di amicizia, condivisione e fratellanza – riescono a fermare i soliti, ignobili, insulti razzisti. Luogo del conflitto sono, come spesso accade, i social, dove qualcuno confonde la libertà di espressione con l’incitamento all’odio. E la causa? Un post pubblicitario della Salewa, società altoatesina specializzata nella vendita di articoli sportivi per la montagna, che vede come protagonista un modello francese, ma di origini sudanesi.

Una pubblicità inclusiva, come dichiarato dalla stessa società. Ma che ha generato una campagna d’odio nei confronti del modello, ma anche dell’azienda stessa, attaccata da commenti come: “Per Salewa l’Europa è già parte dell’Africa?”. Commenti a cui, però, la società non ha voluto dare troppo eco.

“C’è poco da dire – commenta Thomas Aichner, responsabile marketing di Salewa -, abbiamo deciso di oscurare e, se possibile, cancellare questi commenti. Siamo aperti al dibattito, ma è inutile condurlo su Facebook”. Ed è arrivata così, dunque, la presa di posizione netta, di condanna, da parte dell’azienda di Bolzano: “Per noi, le montagne sono di tutti“.

Aichner ha poi rivelato che i modelli di diversa etnia erano una scelta consapevole per raggiungere anche mercati distanti dalle aree centrali degli sport di montagna: “Chiaramente si tratta di gruppi di target, ma anche di un messaggio che vogliamo trasmettere – spiega il dirigente -. L’alpinismo è stato finora qualcosa di molto esclusivo, solo per pochi, molto spesso uomini bianchi. Abbiamo deciso consapevolmente di includere nella nostra comunicazione anche di altre etnie, origini e culture”. L’azienda, dunque, tende sempre di più a una globalizzazione non solo del marchio, ma della comunicazione e del target. E, per Aichner, non basterà una campagna d’odio sui social a fermare questa missione, anche a rischio di perdere clienti.