A marzo scorso, durante un comizio in Ohio, col cappellino rosso Maga in testa, chiamò i migranti “non persone, animali”. Una manciata di giorni fa a Milwaukee, Donald Trump ha promesso al suo elettorato di lanciare la più grande deportazione di migranti della storia americana. Tanto scintillante e colorato è lo show del candidato repubblicano, quanto oscuro e nascosto è il lavoro illegale compiuto dai migranti, e dai loro figli, ogni giorno, negli Stati Uniti. Secondo un’inchiesta del New York Times, dall’agricoltura all’edilizia, negli ultimi due anni, i bambini senza genitori né documenti hanno ingrossato un esercito di lavoratori sfruttati composto da 250mila minori. Stanno nelle serre, nelle fabbriche, sui tetti e nelle piantagioni. Già quando fu varato il Fair Labor Standards Act nel 1938 (che vietava il lavoro minorile) le restrizioni non furono applicate al settore agricolo. Il verde e marrone americano è molto nero. Lo è il lavoro illegale nei campi della pianta letale. Negli Stati Uniti se sei povero o sei figlio di migranti poveri, il tabacco, sotto le temperature roventi estive, cominci a coltivarlo a circa 12 anni, quando non hai nemmeno l’età legale per comprare un pacchetto di sigarette.

I ragazzini che devono aiutare le famiglie ad arrivare non a fine mese, ma al giorno dopo, sono retribuiti in pericoli e malattie più che nei pochi dollari di compenso. “Nessuno vede i bambini trascurati nei campi di tabacco americani” era il titolo di una lunga inchiesta dell’Atlantic di oltre dieci anni fa. Oggi le autorità sono ancora più mute: e non è il silenzio cieco di chi non sa, ma quello complice di chi sa benissimo. A dichiarare che il numero di minori impiegati illegalmente (in tutti i settori dell’economia) è aumentato del 37% rispetto al 2022 e del 283% rispetto a un decennio fa è il Dipartimento del Lavoro Usa e quello che emerge è solo la punta di un iceberg carico di pesticidi tossici. Nel ventre dei campi statunitensi quelle condizioni di lavoro prima le accettavano solo i migranti, ma ora i datori hanno trovato manodopera a un costo ancora più inferiore: i figli dei migranti. Le responsabilità legali, per malattie e morte, sono limitate dai legislatori federali, sempre più compiacenti. E se lo consente la legge, non c’è violazione.

Lo sa bene Margaret Wurth, della Human Right Watch, che ha curato il lungo dossier del 2015 “Teens of tobacco fields” sui bambini fantasma che raccolgono piante che, paradossalmente, gli indiani d’America coltivavano per fini medici. “Rimane legalmente consentito che i bambini di 12 anni vengano assunti per lavorare senza limiti di orario al di fuori della scuola in una piantagione di tabacco di qualsiasi dimensione”, “non esiste un’età minima per i bambini che lavorano in piccole piantagioni di tabacco” scrive Hrw. Prima degli altri, i bambini-tabacco si trasformeranno in adulti con la pelle che sembra pergamena, con mani nodose che si hanno di solito alla fine della vita e non all’inizio, avranno schiene spezzate come i tronchi d’albero dopo il vento. Hanno un futuro di malattie polmonari certe. Riportano sintomi da avvelenamento comune tra i lavoratori che assorbono nicotina dalla pelle e sono in contatto continuo con le piante senza adeguate attrezzature e corsi di preparazione. I rischi derivano anche da pesticidi e caldo estremo.

Se lunghe e dolorose battaglie legali sono state compiute per vendita e uso dei prodotti da fumo, quasi nessuna è stata compiuta per regolarizzare la coltivazione e produzione del tabacco. Nel 2014 per la prima volta le industrie hanno congiuntamente concordato di rispettare il diritto internazionale del lavoro con la Eclt, la Fondazione che si batte per eliminazione del lavoro minorile del tabacco. I colossi promisero giustizia, ma sapendo forse che non lo avrebbero fatto le centinaia di migliaia di aziende agricole da cui acquistano.

Tutti conoscono gli effetti del fumo sulla salute individuale, meno su quella dell’ambientale (la monocoltura che causa deforestazione, emissioni di Co2, inquinamento delle falde acquifere), ma ancora meno è nota l’ingiustizia che si consuma nella produzione che regala profitti stratosferici alle aziende che vendono sigarette. Un anno fa l’Oms ha chiesto ai governi di smettere di sovvenzionare le insostenibili colture di tabacco, responsabili di otto milioni di morti all’anno nel mondo; ha detto il direttore generale Tedros Ghebreyesus: “scegliendo di coltivare cibo invece che tabacco diamo priorità alla salute, preserviamo gli ecosistemi”. Ad oggi, secondo il report Oms “Grow food, not tobacco”, (coltiva cibo, non tabacco) tre milioni di ettari di terreni in 120 Stati sono usati per queste piantagioni dove si stima che lavorino, dagli Usa all’Africa, soprattutto all’America del Sud all’Asia, un milione di bambini. “È una minaccia per l’insicurezza alimentare”, ha aggiunto il direttore, “per la salute in generale, compresa la salute dei coltivatori di tabacco, che sono esposti a pesticidi chimici e nicotina”.

In Usa finora sorda è stata anche l’amministrazione democratica, come il Congresso dove i lobbisti del settore agricolo evitano l’estensione delle tutele lavorative garantite agli altri settori. Che all’orizzonte non ci sia miglioramento se dovesse arrivare Trump, ce lo dice il passato e la sua presidenza: l’alta funzionaria Brenda Fitzgerald, direttrice del Centro per il controllo malattie e prevenzione, mentre lavorava per la sanità pubblica, comprava azioni di compagnie del tabacco proprio mentre guidava l’agenzia che doveva ridurne l’uso. Un’altra eroina del Maga, la consigliera Susie Wiles (“la più temuta e meno nota d’America”, così la descrive Politico) lavorava per la campagna elettorale del repubblicano mentre era a libro paga di una compagnia di tabacco. Ma Trump aveva anche un vice, Pence, che ha dichiarato che “il fumo non uccide”.

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