Ida Resce aveva 29 anni, un figlio di cinque e il diabete. È morta il 20 gennaio 2018 a Casalbore (Avellino) dove viveva. Due giorni prima, all’ospedale Rummo di Benevento, le avevano impiantato un microinfusore di insulina che avrebbe dovuto liberarla dalle iniezioni con la “pennetta”. Sono dispositivi sempre più diffusi, un aghetto collegato a un piccolo processore che eroga la quantità programmata. Oltre sei anni dopo, per la terza volta, la pm Flavia Felaco ha chiesto l’archiviazione dell’indagine. La motivazione è sconcertante: “Il pm non ha potuto svolgere l’accertamento per la difficoltà di rinvenire un tecnico esperto nella accensione e analisi dei dati eventualmente conservati nel microinfusore che fosse terzo rispetto alle parti”. Insomma, non si trova un perito indipendente.

“Mia sorella era preoccupata e io le dicevo di fidarsi della scienza”, racconta il fratello più grande, Giuliano, professore di Economia politica all’Università del Molise. Anche per fidarsi della giustizia, però, ci vuole coraggio. Dopo la denuncia del marito Claudio e dei familiari di Ida, la Procura di Benevento aprì un fascicolo contro ignoti. Per due volte, a seguito di richieste di archiviazione a cui si è opposto l’avvocato dei Resce, Achille Cocco, la giudice Loredana Camerlengo ha ordinato di svolgere l’accertamento tecnico sul microinfusore, suggerito anche dal medico legale Lamberto Chianese fin dalla relazione sull’autopsia. Dove scriveva di “morte improvvisa sostenuta da aritmia cardiaca scatenata da ‘crisi’ ipoglicemica indotta verosimilmente da una/una serie di somministrazione/i improprie di insulina per cattiva gestione del microinfusore da parte della stessa Resce Ida”.

Colpa della vittima, quindi. “È successo in casa, non in ospedale, è stata lei a iniettarsi l’insulina”, sostiene l’avvocato Vincenzo Montanino, difensore del diabetologo indagato, Francesco Zarella del Rummo. Un altro consulente della Procura, l’endocrinologo Gerardo Corigliano, ha perfino ipotizzato che la ragazza volesse uccidersi. Anche se diceva a tutti che voleva un altro figlio. E il giorno prima di morire, alle prese con le ripetute crisi ipoglicemiche dovute all’eccesso di insulina, scriveva disperatamente “non so come funziona” al tecnico Luigi Mermati, l’altro indagato, all’epoca incaricato di affiancare la paziente dalla società fornitrice del dispositivo, Movi Spa di Milano.

La pm ha affidato l’accertamento sul microinfusore alla diabetologa Ludgarda Bozzetto dell’Università Federico II di Napoli, che però ha chiesto l’aiuto di un tecnico della Movi Spa. “È stato custodito inattivo per 4 anni, anche con la batteria inserita. È molto probabile che ciò abbia determinato l’usura/danneggiamento che potrebbe causare, nel tentativo di riaccensione dello strumento, la perdita di dati potenzialmente determinanti. Si ritiene pertanto opportuno che le operazioni avvengano con il supporto di personale dell’azienda produttrice”, scriveva Bozzetto alla pm, suggerendo una dipendente individuata da Movi. Bozzetto conosce l’azienda, anche lei prescrive ai pazienti dispositivi forniti da Movi. Ma il 15 febbraio 2023, all’avvio delle operazioni peritali, l’avvocato Cocco ha rilevato “l’incompatibilità del tecnico nominato dal consulente poiché dipendente dell’azienda fornitrice” e ha chiesto “un tecnico terzo”.

E la pm non l’ha trovato, abbiamo cercato invano di farci spiegare perché dalla Procura. Vedremo il 24 luglio se il nuovo giudice, Vincenzo Landolfi, respingerà anche la terza richiesta di archiviazione. L’avvocato Cocco stavolta ha scritto anche alla Procura generale di Napoli per un’eventuale avocazione delle indagini. Intanto la prescrizione corre.

Nel fascicolo c’è un verbale del dottor Zerella che ammetteva di non avere una cartella clinica: “Non conserviamo nulla, consegnavamo le prescrizioni alla diretta interessata”. C’è la drammatica chat tra Ida e Mermati: la mattina prima di morire la ragazza scriveva di sentirsi “un macigno addosso”. Non era il caso di mandarla al pronto soccorso? Doveva pensarci il tecnico o toccava al medico? Forse quella pompa non funzionava? “Ritengo fosse funzionante, ad ogni modo le dosi di insulina le detta il medico”, dice l’avvocato Massimiliano Meda, legale di Mermati e soprattutto di Movi Spa, società milanese che nel 2023 ha fatturato poco meno di 140 milioni di euro. Meda è anche il responsabile dell’Organismo di vigilanza dell’azienda: “Da quando sono lì non mi risultano incidenti di questo genere”. Lo confermano diversi diabetologi sentiti dal Fatto.

Oggi esistono microinfusori più avanzati del dispositivo Animas Vibe Insuline Pomp impiantato a Ida. Anzi nell’ottobre 2017, poco prima della tragedia, l’azienda produttrice Animas corporation, del gruppo Johnson & Johnson, aveva annunciato la sua uscita dal mercato delle pompe per insulina e l’intenzione di agevolare il passaggio dei pazienti a dispositivi Medtronic. Ma Movi Spa, il 25 gennaio 2018, aveva reso noto che “continuerà a fornire con regolarità e puntualità i prodotti Animas, nel rispetto degli impegni presi con gli Ospedali e le Asl”, precisando tuttavia che era in arrivo “una pompa per insulina dotata di tecnologie innovative”.

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