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L’Italia torna a caccia di materie prime: riparte l’industria mineraria, tra nuove opportunità e vecchi problemi ambientali | la mappa

In totale sono 76 le miniere ancora attive in Italia, 22 relative a materiali che rientrano nell’elenco delle 34 materie prime critiche dell’Unione europea. In venti di queste miniere si estrae feldspato, minerale essenziale per l’industria ceramica e in due la fluorite, nei comuni di Bracciano e Silius, da dove parte il viaggio di Chemical Bros, documentario denuncia del regista Massimiliano Mazzotta. Sono alcune delle informazioni ufficiali dell’Ispra sulle risorse minerarie nazionali contenute nel database GeMMA (Geologico, Minerario, Museale e Ambientale), presentato a Roma con il viceministro Vannia Gava, alla vigilia dell’avvio alla Camera dell’iter di conversione del decreto che deve contribuire a riattivare l’industria mineraria nazionale, velocizzando le autorizzazioni. La Banca dati, aggiornata nell’ambito del progetto Pnrr GeoSciencesIR, rappresenta il punto di partenza per l’elaborazione del programma minerario nazionale, imposto dal Regolamento Ue Critical Raw Materials Act e affidato all’Ispra. Feldspato e fluorite, dunque, sono ad oggi le uniche materie prime critiche coltivate in Italia, ma – spiega Ispra – i permessi di ricerca in corso, i dati sulle miniere attive in passato e quelli sulle ricerche pregresse e recenti documentano la potenziale presenza di varie materie prime critiche e strategiche come il litio. C’è, però, un aspetto importante, oltre a quello degli impatti ambientali in alcuni casi già noti: in Italia le pregresse attività minerarie hanno lasciato un’eredità di circa 150 milioni di metri cubi di scarti di lavorazione “che si trovano in strutture di deposito spesso fatiscenti e che rappresentano un serio problema ambientale”.

La mappa dei minerali – La miniera di fluorite di Genna Tres Montis (Sud Sardegna), che rientrerà in piena produzione al termine dei lavori di ristrutturazione, rappresenterà una delle più importanti d’Europa. “Le altre 91 miniere di fluorite attive in passato, da rivalutare con i prezzi attuali quadruplicati rispetto al 1990 – spiega Ispra – sono localizzate nel Bergamasco, nel Bresciano e in Trentino, oltre a quelle sarde e laziali”. L’estrazione di minerali metalliferi, che rappresentano la maggior parte dei materiali critici, ha interessato circa 900 siti ed è attualmente inesistente. In Italia non vengono, per ora, estratti Critical Raw Materials metallici e per la loro fornitura il paese è totalmente dipendente dai mercati esteri. Secondo Ispra “alla luce delle nuove tecniche di esplorazione e dell’andamento dei prezzi di mercato, molti dei depositi conosciuti andrebbero rivalutati”. Depositi di rame, minerale essenziale per tutte le moderne tecnologie, sono già noti nelle colline metallifere, nell’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, Trentino, Carnia ed in Sardegna. In diversi siti è stato estratto manganese, soprattutto in Liguria e Toscana. Il tungsteno è documentato soprattutto in Calabria, nel cosentino e nel reggino, nella Sardegna orientale e settentrionale e nelle alpi centro-orientali, spesso associato a piombo-zinco. Il cobalto è documentato in Sardegna e Piemonte “dove il deposito di Punta Corna è ritenuto di strategica importanza europea, la magnesite in Toscana e i sali magnesiaci nelle Prealpi venete”.

Dalle problematiche ambientali del titanio al litio – L’accertato giacimento di titanio nel Savonese è questione ben nota, così come le problematiche ambientali che ne precludono l’estrazione a cielo aperto. Le bauxiti, principale minerale per l’estrazione di alluminio, sono invece localizzate in quantitativi modesti in appennino centrale ma più consistenti in Puglia e soprattutto nella Nurra (Sassarri), “dove la miniera di Olmedo, ultima miniera metallifera ad essere chiusa in Italia – racconta Ispra – è ancora mantenuta in buone condizioni”. Le bauxiti di Olmedo, come le altre bauxiti, contengono possibili quantitativi sfruttabili di terre rare, che sono sicuramente contenute all’interno di buona parte dei depositi di fluorite, come nel caso di Genna Tres Montis. Possibili depositi di celestina, principale minerale dello stronzio, materiale critico dai molteplici usi, sono documentati nelle solfare siciliane, soprattutto del nisseno. La presenza di litio è nota nelle pegmatiti dell’Isola d’Elba, del Giglio e di Vipiteno, ma Ispra sottolinea soprattutto “la recente scoperta di importanti quantitativi di litio nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani”. Sette permessi di ricerca sono stati rilasciati dalla Regione Lazio ed inseriti nel database, insieme agli altri attualmente vigenti. Tra i materiali critici non metalliferi, depositi significativi di barite, importante minerale per l’industria cartaria, chimica e meccanica, sono localizzati nel Bergamasco, nel Bresciano ed in Trentino. “Di fondamentale interesse per la nuova tecnologia – spiega l’istituto – sono i depositi di grafite, precedentemente estratti per coloranti, lubrificanti e per la fabbricazione delle matite. I depositi noti sono localizzati nel Torinese (attualmente interessati da due permessi di ricerca), nel Savonese e nella Sila”.

Il nodo dei rifiuti estrattivi – In Italia, però, le pregresse attività minerarie hanno lasciato un’eredità di circa 150 milioni di metri cubi di scarti di lavorazione, che si trovano in strutture di deposito spesso fatiscenti e che rappresentano un serio problema ambientale. Tra questi, l’inquinamento diffuso delle acque superficiali e sotterranee e dei suoli da metalli pesanti “cioè gli stessi che potrebbero essere recuperati” sottolinea l’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale. E nel campo del recupero c’è fermento. Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha dichiarato che “l’Italia può essere davvero all’avanguardia in Europa e in Occidente, perché abbiamo tecnologia e imprese particolarmente votate al riciclo e al riuso”. Secondo una recente analisi della multiutility Iren e The European House Ambrosetti, l’Italia può superare l’obiettivo della Commissione Ue del 15% di materie prime critiche riciclate nel 2040, soddisfacendo fino a un terzo del fabbisogno nazionale, che aumenterà fino a 11 volte per effetto della doppia transizione ecologica e digitale. Iren ha promosso l’osservatorio RigeneRare, un hub sull’economia circolare delle materie prime critiche che mette insieme gli attori coinvolti e le loro esperienze per indirizzare le politiche di sviluppo industriale nazionale e le relative misure di sostegno. Il presidente esecutivo del Gruppo Iren, Luca Dal Fabbro, ha sottolineato come l’Italia e l’Europa siano fortemente dipendenti da Paesi extra-UE per l’approvvigionamento di questi materiali, in particolare dalla Cina, da cui proviene il 56% delle materie prime critiche europee. Tra i primi promotori ci sono Confindustria Cisambiente, Assoambiente, Utilitalia e Confindustria Toscana Sud.

(immagine di repertorio)