Parigi 2024, la storia del primo portabandiera nero della Germania alle Olimpiadi
Carattere chiuso e indisciplinato. “Avevo un amico bianco, Fabian, eravamo molto legati ma gli altri gli dicevano. ‘Guardalo, è nero. Ha della terra su tutto il corpo‘”. L’infanzia e l’adolescenza di Dennis Schröder sono stati complicati: “I primi 15 anni della mia vita li ho odiati, ovunque mi girassi ero l’unico bambino nero“. Al parchetto o per strada era visto come un alieno, per il colore della pelle. Erano in due i “diversi” nella sua scuola: “Avere un padre tedesco e una madre del Gambia non era molto abituale a Braunschweig, a quel tempo”. Trascorreva l’infanzia giocando da solo sulla pista da skateboard. Oggi Dennis Schröder è il primo portabandiera nero della Germania nella storia delle Olimpiadi. “L’abbiamo fatto insieme! Porterò la bandiera con orgoglio. Grazie a tutta la mia famiglia, senza di voi questo non sarebbe mai stato possibile”, ha dichiarato il campione di basket dopo la notizia. Nulla sarebbe stato possibile soprattutto senza quella lettera trovata per caso dopo la tragica scomparsa del padre Alex. Forse, non sarebbe la persona e l’atleta che è diventato. Dennis ne ha eredito la passione e le parole, fino a diventare un cestista Nba (con le maglie dei Los Angeles Lakers e Boston Celtics, tra le altre) campione del mondo in carica con la nazionale tedesca. Da Mvp.
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Indisciplinato e con la passione per lo skate: l’infanzia a Braunschweig
Mamma Fatou, papà Alex e quattro fratelli. “Con loro era una competizione continua, su ogni cosa. Viene da qui quella spinta che sento dentro a voler essere sempre il numero uno. L’ho imparata crescendo in mezzo a loro, in una famiglia numerosa”. Tra di loro c’era chi aveva l’ambizione di diventare un calciatore, il piccolo Dennis invece voleva passare quanto più tempo possibile al Prinzer Park, circondato da gente più grande di lui. Senza badare alle regole. Poi, il fratello si rompe un braccio per colpa di un trick proibitivo e mamma Fatou bandisce lo skate in casa. Di fianco al parco del suo tanto amato sport, c’era un canestro da basket dove, a tempo perso, faceva qualche tiro. “Ho iniziato quasi per scherzo, all’inizio non facevo per nulla sul serio. C’era questo allenatore, Liviu Calin, che bazzicava spesso per reclutare qualche giovane interessante per la sua squadra. Mi disse che era sicuro che avrei potuto fare grandi cose nella pallacanestro se mi ci fossi dedicato seriamente”. Schröder accetta la sfida, anche spinto dal padre, ma i risultati sono disastrosi: non quelli sul campo, bensì quelli sul lato caratteriale. Sempre in ritardo e litigioso con i compagni: il giovane Dennis non si sentiva libero. Preferiva il brivido della rampa al ciuf della retina.
Le parole del padre che gli hanno cambiato la vita
“Sono tornato a casa dopo scuola e tutta la famiglia era in cucina. Mi hanno fatto sedere e mi hanno detto ‘papà è morto’. Avevo 16 anni e non ci credevo, pensavo che non potesse essere vero. Sono dovuto andare a casa sua, volevo vederlo coi miei occhi. Era ancora là che giaceva sul divano, ho provato a toccarlo. Se ne era andato davvero. Questo ha cambiato tutta la mia vita“. Solo due settimane prima, durante una chiacchierata, Schröder gli aveva promesso che sarebbe entrato in Nba e che si sarebbe preso cura della famiglia. Poco dopo la scomparsa del padre, per un arresto cardiaco, Dennis apre quasi per caso un cassetto della scrivania e trova una lettera, firmata a nome Alex. “Hai talento, non lo sprecare. Concentrati sul basket, potresti cambiare la tua vita e quella della tua famiglia”. Schröder aveva capito la lezione: non c’era più di tempo per fare quello che voleva, quando voleva. Era tempo di porsi un vero obiettivo.
Così, Schröder era tornato sconsolato da Calin per una seconda chance. Reintegrato in squadra ma a una condizione: giocare solo in difesa per almeno 30 azioni consecutive. Tra le lacrime, il playmaker tedesco passa la prova e da lì non si è più fermato. Le giovanili con i Phantom Braunschweig, gli svariati premi di miglior giovane e la convocazione per il Nike Hoop Summit del 2013 (il torneo che mette di fronte i migliori liceali americani e i coetanei internazionali). Poi la carriera Nba ancora in corso. Oggi, Schröder è il nuovo volto della Germania del basket, e non solo. È il volto della Germania intera alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Parigi 2024. La promessa a papà Alex è stata pienamente rispettata.