Mafie

Il ‘vitello d’oro’ della mafia del Gargano: “Assalti ai portavalori per comprare le mucche. Coi bovini soldi facili e si controlla il territorio”

Per trovare l’anello di congiunzione tra la mafia che spara e quella che fa affari, vecchi e nuovi, bisogna arrampicarsi da Mattinata e Vieste fino a Monte Sant’Angelo, attraversare la Foresta Umbra e il Parco Nazionale quindi riscendere fino a Cagnano Varano. Fitta boscaglia e altopiani, curvoni e valli, campi brulli sono il regno delle vacche del Gargano, animali che vivono allo stato brado dietro ai quali si nasconde un sistema di potere criminale che tiene insieme controllo del territorio, inganno all’Unione Europea e riciclaggio. Una sorta di economia circolare mafiosa a basso rischio e alto rendimento. Del resto le mucche hanno sempre mosso i clan del promontorio pugliese, fin dalla fine degli Anni settanta, quando un furto di bestiame innescò la sanguinosa faida, chiusa dopo una raffica di omicidi con lo sterminio della famiglia Primosa-Alfieri, che portò all’affermazione del clan Li Bergolis, padrone per decenni in questa zona della provincia di Foggia prima di essere azzerato dalle sentenze.

Le confessioni di Raduano
Eredi vecchi e nuovi del clan dei Montanari, com’erano conosciuti i Li Bergolis, non hanno dimenticato l’ancestrale attaccamento ai bovini, facendo ruotare attorno al bestiame un congegno perfetto per impiegare guadagni illeciti, lavarli e, nel frattempo, fare altri soldi continuando a delinquere. La ricostruzione più minuziosa del sistema, in parte noto grazie ad alcune inchieste, lo ha messo nero su bianco Marco Raduano, il boss di Vieste diventato collaboratore di giustizia dallo scorso marzo. Evaso dal carcere di Badu e Carros calandosi con alcune lenzuola legate al muro di cinta e scomparso per un anno, l’uomo di vertice del clan Lombardi-La Torre ha visto chiudersi la sua latitanza l’1 febbraio vicino a Bastia, in Corsica, quando è stato fermato dal Ros dei carabinieri. Meno di due mesi dopo ha iniziato a riempire centinaia di pagine di verbali nei quali, oltre ad autoaccusarsi di una decina di omicidi, ha raccontato come la mafia garganica costruisce e gestisce con avidità il proprio patrimonio, alla ricerca di nuova ricchezza a ogni costo. Un vitello d’oro, letteralmente.

La mucca sacra del Gargano
Quando i pubblici ministeri della Dda di Bari, Luciana Silvestri ed Ettore Cardinali, chiedono di far luce sui beni patrimoniali del boss Matteo Lombardi, condannato all’ergastolo per un omicidio del 2017, Raduano diventa un fiume in piena: “Investiva i suoi soldi, anche perché comunque ogni soggetto del genere aveva un patrimonio, perché erano… il gruppo di fuoco comunque erano quelli principalmente che compivano anche le rapine ai portavalori”. Assalti in Calabria e nel Barese, ricostruisce il criminale viestano, che fruttano molti soldi: “So che hanno preso… ognuno, di parte sua, chi ha preso 2-300 mila euro, 400mila euro, 500mila euro, quindi questi soldi poi li riciclavano in qualche modo, chi con le mucche…”. La storia del bestiame in mano alle mafie è ricostruita così da Raduano: “In tutto il Gargano… (…) avete presente la mucca sacra di… un’usanza che usano in Calabria? Noi ce l’abbiamo nel Gargano”.

“Centinaia di vacche, nessuno può dire niente”
Tutto inizia con gli assalti ai mezzi blindati: “Dopo tutte le rapine ai portavalori comunque investivano molto sull’acquisto delle mucche, mucche che hanno al pascolo… (…) sono nel territorio interno del Gargano, ecco! …dove prendono i titoli del… di ogni mucca, di ogni ettaro di terreno”, spiega. Quindi fa i nomi di chi, anche usando società schermo, costruisce mandrie numerose: “Ogni componente… vi parlo di La Torre, di Ricucci, di Lombardi, di Scirpoli (nella foto in evidenza, a sinistra, Lombardi e Scirpoli, nda) e dei Quitadamo, avevano un patrimonio di 2-300 mucche a testa, ma non li gravavano come spesa, perché non è che andavano a comprare il fieno, il mangime, le avevano libere nei territori…”. La bestia, chiarisce Raduano, “può stare libera nel territorio garganico, può andare sulla strada principale, nei terreni privati e nessuno può dire niente, può fare niente. Sui terreni privati, sui terreni demaniali, sui terreni boschivi, su… le abbiamo libere, ecco”.

I soldi dallo Stato e il controllo del territorio
Il perché è presto detto: “Diciamo queste mucche qua sanno che appartengono ai Li Bergolis, ai Romito, ognuno c’ha la sua fetta di territorio dove è controllata… oltre ad usarla come titoli, come soldi dallo Stato, dalla Comunità Europea… non so cosa prendono… che soldi che prendono, comunque a noi ci fa occupare territorio, ecco. Cioè, con le mucche occupiamo un intero bosco dove poi siamo padroni di andare, riunirci, incontrarci, nascondere auto, mezzi, armi”. Tra i criminali del Gargano che avevano costruito un “metodo”, come lo chiama Raduano, per occupare i terreni c’erano Antonio e Andrea Quitadamo, i fratelli ‘Baffino’, ras di Mattinata e ora anche loro collaboratori giustizia: “Tra di noi si usava molto dire: ‘Se qualcuno non voleva farci entrare, dobbiamo entrare come i Baffino”, che loro vanno… o fanno un contratto d’affitto che poi… entrano con un pezzo di carta e poi non escono più. Oppure danneggiamenti, incendi, tagli degli alberi”.

“È tutto guadagno”
A Mattinata, continua il racconto il boss di Vieste, “hanno occupato proprio un’area dove c’erano proprio dei fabbricati, (…) avevano tipo un villaggio proprio… che erano proprio proprietari di una zona molto estesa. Poi, le mucche… (…) c’hanno un garzone dove lui va, gli mette un secchio d’acqua, e quella è la spesa che portano (…) Poi per il resto è tutto guadagno”. In molti casi alla mafia garganica non interessa né la mungitura né la lavorazione del latte per produrre formaggi perché, spiega sempre Raduano, comporterebbero manodopera e spese: “Rivendono i vitelli e prendono ogni anno… per esempio, ogni anno prendono 100-200 mila euro di entrate di vitelli”. La chiusura del cerchio: i soldi sporchi, rubati dai portavalori con azioni plateali e raffiche di kalashnikov, hanno una nuova vita.

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