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Nel primo comizio da candidata Harris parla di diritti e si presenta come vendicatrice della middle-class. I dem ora ci credono

Da “Yes We Can”, a “Yes We Kam”. Basta sostituire un paio di lettere, e dal primo presidente nero si passa alla prima donna nera e asiatica candidata alla presidenza della storia americana. Lo slogan “Yes We Kam”, insieme all’invocazione “Ka-ma-la” e a un’onda incontenibile di urla e applausi, hanno contrassegnato il comizio di Kamala […]

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Da “Yes We Can”, a “Yes We Kam”. Basta sostituire un paio di lettere, e dal primo presidente nero si passa alla prima donna nera e asiatica candidata alla presidenza della storia americana. Lo slogan “Yes We Kam”, insieme all’invocazione “Ka-ma-la” e a un’onda incontenibile di urla e applausi, hanno contrassegnato il comizio di Kamala Harris a West Allis, un sobborgo operaio di Milwaukee, un tempo centro di un’importante fabbrica di trattori. Si è trattato della prima vera uscita pubblica di Harris da quando è di fatto diventata candidata democratica alla presidenza. Si è trattato di un comizio che ha illustrato i personaggi che Harris vuole incarnare durante questa campagna elettorale. Il pubblico ministero. La campionessa dei diritti riproduttivi. La vendicatrice della middle-class. Il simbolo di una generazione di politici nuovi, che battono alle porte del potere.

Davanti alle centinaia di militanti arrivati ad ascoltarla nella palestra di una scuola – era tempo che non si vedeva una folla così numerosa a un comizio dem – Harris ha anzitutto ricordato di essere una ex procuratrice ed ex attorney general della California, che ha messo sotto inchiesta “gente che ha passato la vita a frodare e ingannare”. Quindi, ha spiegato, “attenti a quel che vi dico, quando vi dico che conosco i tipi come Donald Trump”, l’uomo che un tribunale di Manhattan ha condannato per abusi sessuali, l’uomo sul cui capo pendono accuse per reati gravissimi, l’uomo che da anni passa da un tribunale all’altro d’America. “In questa campagna, vi prometto che ogni giorno della settimana, orgogliosamente, ricorderò chi sono stata io, contro ciò che è stato Trump”. La folla, davanti a lei, ritmava intanto tre parole: “Lock him up”, sbattilo dentro.

È arrivata poi l’accusa mossa a Trump e ai repubblicani di voler “far tornare indietro il nostro Paese”. “Li dobbiamo prendere sul serio. Ci potete credere? Hanno messo per iscritto quello che vogliono. E sono 900 pagine”, ha detto Harris, riferendosi al Project 2025, il programma delineato dall’ala più conservatrice dei repubblicani per ridisegnare diritti sociali e civili degli americani (e da cui comunque Trump, preoccupato per una deriva troppo radicalmente di destra della campagna, ha già preso le distanze). Tra i diritti che si vogliono cancellare, c’è ovviamente l’aborto. “Fermeremo il bando radicale all’aborto di Donald Trump, perché vogliamo che le donne decidano sul loro corpo e che non sia il governo a dirgli cosa fare”, ha urlato Harris di fronte alle folla inneggiante dei militanti. La candidata ha promesso che, da presidente degli Stati Uniti, firmerà la legge che ristabilisce i diritti riproduttivi delle donne americane (improbabile che una misura di questo tipo possa davvero passare al Congresso, manca infatti una maggioranza per approvarla. Con ogni probabilità, l’aborto resterà dunque nell’immediato futuro soggetto alle diverse regolamentazioni statali).

Significativa è stata la parte del comizio relativa ai bisogni della middle-class in crisi. Tornando a uno dei temi della campagna (fallita) per le primarie 2020, Harris ha detto che il suo sforzo per diventare presidente è alimentato “dall’energia del popolo” e che da presidente metterà davanti a tutto “gli interessi della classe media e dei lavoratori”, contro miliardari e interessi delle corporation. Così come significativa è la prospettiva storica in cui Harris ha inquadrato la sua candidatura. Dipingendo se stessa come l’esito di una lunga e faticosa battaglia per dare voto e voce a donne e minoranze, Harris si è anche proposta come il simbolo di una generazione politica nuova, che chiede di partecipare alla gestione del potere. “Io ho 59 anni. Trump ne ha 78”, ha fatto notare Harris, rimarcando come i democratici vogliano ribaltare la questione età. L’hanno subita, quando Biden era candidato. La usano ora, alludendo alla senilità, piuttosto incontrollata, di Donald Trump.

Il comizio in Wisconsin – uno degli Stati del “Blue Wall”, insieme a Michigan e Pennsylvania, che i democratici devono assolutamente conquistare, se vogliono mantenere il controllo della Casa Bianca – ha dunque mostrato con quali argomenti Harris vuole battere Trump. Ha anche esibito in modo clamoroso il sospiro di sollievo, e il conseguente entusiasmo, con cui i democratici hanno accolto il ritiro di Biden e l’ascesa della nuova candidata. Ad ascoltare Harris ieri, in Wisconsin, c’erano praticamente tutti gli eletti dello Stato: il governatore Tony Evers, la senatrice Tammy Baldwin, i deputati, fino ai presidi delle scuole. A Washington, intanto, hanno espresso il loro endorsement a Harris i leader di Camera e Senato, Hakeem Jeffries e Chuck Schumer. Manca solo Barack Obama, e tutti i big del partito hanno fatto sentire la loro voce.

In un giorno e mezzo, la campagna democratica ha raccolto oltre 100 milioni in finanziamenti elettorali, da 1 milione e 100 mila soggetti diversi. Il 62 per cento tra questi sono nuovi donatori. Girano anche i primi sondaggi. Secondo Priorities USA, un gruppo elettorale democratico, il numero di giovani tra i 18 e i 34 anni negli Stati in bilico, disposti a votare democratico, è cresciuto del 5 per cento dopo l’entrata in scena di Harris. La candidata guadagna, rispetto a Biden, quattro punti percentuali tra i neri e tre tra gli ispanici. Non sarà insomma facile per i democratici battere Donald Trump. Pare però che a questo punto la candidata, i temi, i soldi, la fiducia nel potercela fare, ci siano. Non è poco, considerato lo stato di agonia in cui il partito si trovava solo una settimana fa.