Uè, il Milanese Imbruttito non si ferma, continua a fatturare. Taaac.
Non solo nella parodia dei suoi sketch, se è vero che la Shewants Srl, società che ne detiene il marchio, valica ormai da tempo il milione di euro l’anno. E il suo volto, incarnato dall’attore Germano Lanzoni, giganteggia ormai in ogni dove. Magliette, zerbini per l’ufficio e perfino un pandoro con la firma del Giargiana (altro personaggio amatissimo della serie), sfornato ben prima della Ferragni. Dal digital alla tivù, dove da quest’anno il Milanese Imbruttito è testimonial di Eolo e Unipolmove, fino al grande schermo: a settembre (con anteprima già a Ferragosto) uscirà al cinema il secondo capitolo della saga iniziata tre anni fa con Mollo tutto e apro un chiringuito, per la regia di Pietro Belfiore, Davide Bonacina, Andrea Fadenti, Andrea Mazzarella e Davide Rossi, già autori e registi del collettivo Il Terzo Segreto di Satira. Il titolo non lascia troppo spazio all’immaginazione: Ricomincio da Taaac! Con Brenda Lodigiani, Paolo Calabresi e Claudio Bisio, giusto per citare alcuni tra i protagonisti, oltre ad alcune guest star come Jake La Furia dei Club Dogo, l’ex calciatore Daniele Adani e lo chef del web Ruben Bondì.
La produzione è di Giovanni Cova per QMI, in associazione con Medusa Film e Ramaya Productions e in collaborazione con Prime Video.
Una scommessa nata dal web, una community in continua crescita ma soprattutto uno dei primi esperimenti veramente riusciti di branded content. Qualcosa che in Italia non si era ancora visto, siamo nel 2013, in un processo agevolato dall’esplosione del social media marketing e dall’evoluzione delle piattaforme: Facebook prima e successivamente Instagram. A cambiare di fatto è il concetto di pubblicità tradizionale, storicamente incentrata sul messaggio esplicito e la storia sempre a rimorchio del brand, per passare ad un “ibrido” in cui l’intrattenimento si fonde con l’advertising. Qui la storia diventa in qualche modo centrale. Un approccio più sottile per veicolare o consolidare i valori connessi ad un marchio, in un mercato forse saturo in cui ognuno di noi, sempre più iperconnesso, si ritrova bombardato quotidianamente da annunci sfacciati e messaggi pubblicitari sempre più invasivi. “Anche se convincere il mercato, in una preistoria dove i social erano ancora in una fase primordiale, è stato molto difficile”, assicura uno dei soci fondatori.
E pensare che era nato tutto per gioco, nel cazzeggio creativo di una pausa caffè, una delle tante, in cui si pigliavano in giro vizi e debolezze di una milanesità esasperata, farsesca, sempre in sbattimento. Loro che milanesi autoctoni non lo sono nepppure. Per anni li hanno bollati come “gli amministratori della pagina Facebook”, ma Tommaso Pozza, Federico Marisio e Marco De Crescenzio, i tre founder del progetto Milanese Imbruttito e soci di Shewants srl, avevano in mente già dal principio una dimensione “businesss oriented”. Altro che gioco. No grano? No video. Già, perchè dopo due anni di sperimentazione, la vera svolta arriva nel 2015: l’incontro con il collettivo Il Terzo Segreto di Satira, “grazie al portinaio del palazzo in cui entrambi lavoravamo” e la decisione di dare finalmente un volto al personaggio. “In realtà – spiega Tommaso Pozza – la decisione iniziale di lasciare il personaggio anonimo fu ponderata, volevamo che ogni utente si potesse rispecchiare nella propria identità imbruttita. E poi perché non c’era all’epoca né la necessità né il trend del linguaggio visivo”.
Insomma, l’arrivo di Germano Lanzoni fu inaspettata (ma non casuale), almeno quanto il successo del format. Che, dopo un primo periodo di assestamento, comincia a conquistarsi una fetta importante di mercato: Smart, Goodyear, Vodafone, Bosch, Coca-Cola, sono soltanto alcuni dei primi brand che decidono di investire nelle campagne video de Il Milanese Imbruttito, che nel frattempo si struttura diventando una vera e propria factory creativa. E anche il personaggio del signor Imbruttito, nonostante la meccanica rituale e per certi versi ripetitiva, inizia a macinare tormentoni sempre più viral. In costante hype… direbbero oggi quella della generazione Z. E non solo nella città meneghina. La sua forza? A spiegarlo è Andrea Mazzarella, uno degli sceneggiatori e registi del film. Sono loro a occuparsi della produzione video e a dirigere il personaggio al cinema. “Credo che il segreto stia in quella continua sensazione di beffa che ce lo rende simpatico. Per nulla scontato per quel tipo di personaggio. Non è un vincente, alla fine – nonostante l’aria spavalda – gli capita sempre qualche incidente. La beffa è sempre dietro l’angolo. Nel film, che uscirà a settembre, questa vena sarà ancora più marcata”. Ma come nasce il successo del personaggio?
Un successo inaspettato, ma non casuale.
“Dopo la morte del Dogui c’era probabilmente un vuoto nella commedia milanese”, spiega Lanzoni. “Storicamente, dai tempi di Pino Scotti, è sempre esistita una maschera che enterpretava vizi e virtù della piccola borghesia. Noi quel vuoto l’abbiamo inconsapevolmente riempito. Il fatto che cercassero proprio un attore che avesse un’età compresa tra i 45-55 anni (lui al tempo ne aveva 48, ndr), senza un’identità televisiva precisa, è stata la mia fortuna”.
Se per strada mi chiamano signor Imbruttito sono contento.
“Dicono che il personaggio uccida l’attore, forse è vero. Ma se ha successo gli paga anche il funerale. Se il personaggio non racconta solo la tua dimensione ma rappresenta una città intera è un privilegio. Non lo trovo limitativo. A volte, quando faccio i miei spettacoli, devo premettere al pubblico che sono uscito dal personaggio dell’Imbruttito perchè altrimenti la gente mi associa sempre a lui. Per me è psicogeografia, il luogo in cui cresci influenza il tuo modo di pensare e di creare. Per cui per me è un onore.
Il mio milanese? Una maschera. Non un modello.
“Parliamo di una maschera, non di una modello da imitare. Siamo tutti un po’ imbruttiti, o comunque saltuariamente lo diventiamo, a Milano soprattutto. Sempre di corsa, come in una vecchia poesia di Walter Valdi. Erano gli anni Settanta, ma non è cambiato molto. Chi ha una partita Iva vive quella frenesia, volutamente esasperata e stereotipata, ogni giorno. Noi raccontiamo quel paradosso”.
Nato in periferia, mi sento anche un po’ giargiana.
“Sono cresciuto in periferia…. Comasina, Quarto Oggiaro, Brusuglio, Cinisello, il successo spesso è un incidente. Mi sono formato umanamente e artisticamente in una realtà dove il successo era bere una bottiglia di wisky tutta d’un fiato. Il personaggio funziona perchè fa lo spaccone, ma poi quando perde diventa famigliare. Ti ci immedesimi. Quando ti fai prendere dai ritmi frenetici della city fai i brief, credi al fatturato e al kpi, ma poi torni sulla terra. E ti confronti con la realtà che ci circonda e col fatto che non puoi stare sempre in cima”.
E’ stato bello, se arriva il grano ci rivediamo.
“Quando abbiamo girato la puntata zero mi hanno detto: é stato bello, se arriva il grano ci rivediamo. Lo switch è stato proprio quello: a un certo punto sapevo che il progetto era sostenibile. Questo ci ha permesso di investire anche sulla parte creativa, di crescere. La dimensione businness oriented dei founder non svilisce il mio lavoro, non stiamo mica scolpendo opere d’arte. Stiamo creando prodotti che devono incontrare i favori di un mercato. Oggi sempre di più con i social e il personal branding ognuno comunica per vendere il proprio prodotto. Utopistico pensare che un artista brilli di luce propria. Questo in fondo è un lavoro e come dico nel mio nuovo spettacolo: sono uno che paga le tasse su le cazzate che dice, in un paese che non paga le tasse per le cazzate che fa”.
Torno al cinema, come non mi avete mai visto.
“In un reel da un minuto e mezzo le dinamiche sono più semplici, non puoi dare troppe complicazioni al personaggio. C’è una chiave di gioco, un antagostista, stop. Al cinema abbiamo avuto la possibilità di narrare un cambiamento, quello della contemporaneità con cui l’Imbruttito si deve relazionare. E’ interessante vedere cosa gli accade in un mondo e in una città che cambia. In fondo è pur sempre un boomer. Con questo secondo film oltretutto mi hanno dato la possibilità di lavorare su corde differenti, perchè il mio personaggio – a differenza di quello che accade nel primo film – viene sconfitto nella sua città, dalle sue stesse dinamiche, quindi è costretto ad una riflessione. Tranquilli, si ride molto. Resta pur sempre una commedia leggera”.