Mi preme fare alcune riflessioni sull’ordinanza della Corte di Cassazione – 27115 del 9 luglio 2024 – che ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo infitta ad Antonio De Pace per aver ucciso la compagna, Lorena Quaranta. I fatti avvennero il 31 marzo 2020. La Corte d’Appello di Messina, il 14 luglio 2022, aveva confermato la condanna inflitta dai giudici di primo grado; ma la Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello non avrebbe risposto alle richieste della difesa di verificare la rilevanza del lockdown ai fini delle attenuanti generiche, che dovranno essere rivalutate. Le motivazioni dell’annullamento della condanna risiedono, in parte, nell’attribuire allo stress da Covid una “contingente difficoltà” che impedì all’imputato di porre rimedio allo stato di angoscia di cui “era preda”, un contesto che non sarebbe stato adeguatamente tenuto in considerazione dai giudici di merito come “fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale”.
Fu dunque l’ansia di contrarre il Covid a determinare la violenza di Antonio De Pace?
Il percorso processuale in sintesi è stato questo. Lorena Quaranta aveva 27 anni ed era prossima alla laurea in medicina. Venne uccisa all’alba, soffocata dal compagno che, dopo aver tentato il suicidio, chiamò le forze dell’ordine e spiegò il suo gesto come conseguenza di uno stato di ansia per aver contratto il Covid. La vittima aveva una tosse persistente da 15 giorni e De Pace temeva di essere stato contagiato. Sia i giudici di primo grado che la Corte d’Appello stabilirono che Antonio De Pace era in grado di intendere e di volere nel momento in cui uccise; accolsero le conclusioni del perito della Procura e respinsero la tesi della consulente della difesa che aveva diagnosticato un disturbo psicotico breve.
I giudici di primo grado non concessero le attenuanti generiche invocate dalla difesa, che rivendicava “la condizione di profondo turbamento nel quale l’imputato era stato immerso” a causa dell’ansia di contagiarsi. “L’esorbitante livello di disvalore” recita la sentenza di primo grado, “l’aver esercitato in occasione di un litigio una cieca violenza nei confronti di colei cui l’imputato era legato da un saldo rapporto affettivo, l’aver trovato dentro di sé il coraggio di uccidere a mani nude la giovane, di osservarla mentre vinceva la disperata resistenza che la vittima aveva cercato di opporre, sono circostanze che disegnano i contorni di una condotta efferata, fonte di non comune sgomento”.
Nelle motivazioni venne stigmatizzato anche il comportamento tenuto dell’imputato durante un interrogatorio, perché non si mostrava “conscio della gravità del fatto” e anzi, con il suo comportamento, “delineava l’ambizioso tentativo di andare esente da responsabilità”; secondo i giudici anche durante il processo l’imputato non diede mai “segni di resipiscenza”.
La Corte d’Appello, confermando l’ergastolo, ritenne che “l’allarmante determinazione e pervicacia dell’imputato certamente non può essere messa in correlazione con lo stato d’ansia in cui versava al momento della commissione del delitto, le cui cause invero sono rimaste dubbie nella condivisibile prospettazione del perito”.
A prescindere da una eventuale attenuazione della condanna o della concessione delle attenuanti generiche, poiché la vocazione forcaiola non è parte delle lotte femministe, vale la pena fare una riflessione su un passaggio nell’ordinanza della Cassazione. E’ la parte in cui si esclude il movente di genere. Durante il dibattimento, infatti, la relazione tra Antonio De Pace e Lorena Quaranta venne definita “meravigliosa”.
Il padre di Lorena, nei giorni scorsi, ha dichiarato (lo ha riportato Open) che il Covid c’entra ben poco e si è rammaricato perché non vennero mai presi in considerazione alcuni messaggi che svelavano tensioni nella relazione. De Pace era insofferente perché la compagna si stava per laureare in medicina. Lorena Quaranta in un messaggio aveva scritto: “Mi riempi tanto la testa con il fatto che vuoi essere alla mia altezza e poi ti comporti come un paesano ignorante che dà colpi sul vetro”. Si era prodigata, così risulta dalla carte processuali, affinché il compagno si specializzasse in odontoiatria, insomma si era fatta carico di colmare quel gap di prestigio professionale che rovesciava un paradigma: lei era medica, lui infermiere.
Dobbiamo chiederci che cos’è il femminicidio, di cosa si nutre? La Convenzione di Istanbul ci offre una definizione formale: “La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione”, la “violenza domestica designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner”, la “violenza contro le donne basata sul genere designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato”.
Quella sproporzione di morte e violenza non è forse scavata in radicate asimmetrie di potere? Talmente interiorizzate da facilitare le manifestazioni di violenza contro le donne. I dati parlano. Di femminicidi come quello commesso nei confronti di Lorena Quaranta, in realtà, ne abbiamo visti tanti. All’apparenza fulmini a ciel sereno. Negli ultimi vent’anni abbiamo indossato lenti più limpide che ci hanno aiutato a decostruire stereotipi e a spezzare cortine fumogene che hanno offuscato la matrice della violenza maschile contro le donne.
Siamo state testimoni di femminicidi commessi da uomini ben inseriti nel contesto sociale e professionale, di insospettabili buoni padri di famiglia che salutavano sempre e poi, nelle segrete stanze, covavano rancori indicibili. Alcuni, prima di uccidere, hanno vissuto come una minaccia alla propria identità maschile, la rottura di una relazione e la conseguente perdita di controllo sulla vita della compagna. Altri hanno vissuto i successi delle mogli o delle fidanzate come un’offesa imperdonabile alla loro virilità. Il detonatore di efferate violenze, commesse per “futili motivi”, è stato talvolta la brillante carriera delle compagne, il conseguimento della laurea, la conquista di uno status sociale che era stato percepito dall’autore di violenza come una personale diminuzione invece che come un arricchimento per la vita della coppia.
E quante volte abbiamo letto di una furia che improvvisamente si scaglia su mogli e fidanzate che erano la parte trainante della relazione, donne brillanti e determinate? Alcune di loro sono state descritte, quasi con disappunto nelle sentenze, come “dominanti nella coppia”. La loro mancanza di subalternità percepita come un difetto per costruire una relazione “equilibrata”. Il caro vecchio patriarcato detta ancora le sue leggi in ognuno di noi, e descrive un (dis)ordine simbolico che alla fine produce il caos distruttivo della violenza.
Nel processo a De Pace è stato sviscerato a lungo quanto l’ansia da Covid, che milioni di italiane e italiani hanno vissuto, avesse determinato una incapacità di intendere e di volere, o avesse amplificato la violenza. E’ stato un crimine commesso nell’ambito di una relazione di intimità e forse non è stata sufficientemente indagata la verità dietro l’apparenza di quella “relazione meravigliosa”; ma se Lorena Quaranta non ne uscì viva, tanto meravigliosa non poteva essere. Splendida ragazza dagli occhi grandi e pieni di desideri e di aspettative sul futuro.
Il 31 marzo ci fu una sorta di braccio di ferro tra Antonio De Pace, che voleva raggiungere i suoi famigliari in Calabria, e Lorena Quaranta che lo desiderava accanto a lei. Lui rientrò a casa. C’è una frase che Antonio De Pace pronuncia in uno degli interrogatori della polizia giudiziaria che ho letto come uno svelamento: “L’ho colpita solo con le mani, lei ha cercato di difendersi però sono sempre un uomo e non ci è riuscita”. “Sono sempre un uomo”, così disse.
Nell’atto di schiacciare sotto di sé Lorena, togliendole il respiro, De Pace ha imposto un dominio definitivo ristabilendo un ordine gerarchico nella relazione, oppure fu mosso solamente da uno stress da Covid? Cosa c’è di diverso in questo femminicidio rispetto agli altri che lo hanno preceduto e seguito?
@nadiesdaa