Se è triste un popolo che ha bisogno di eroi, immaginarsi che cosa possa essere una nazione dove un tennista debba accollarsi tutte le magagne di un Paese
Abbiamo un disperato bisogno di eroi, soprattutto in tempi foschi come quelli che l’Italia sta vivendo da qualche stagione. Personaggi che ci sottraggano ai turbamenti quotidiani, all’incertezza del giorno dopo, al timore che possa andare sempre peggio. La crisi devastante del calcio – dove, nonostante la botta dell’europeo, non s’intravede una luce, anche flebile -, il passo indietro del basket che salterà l’Olimpiade di Parigi, il ciclismo sempre più lontano con le sue ombre legate al doping e la non facile connessione con i campioni dell’atletica hanno declinato in Jannik Sinner la figura dell’Eroe. Il simbolo. La speranza. L’Uomo Forte di cui ha sempre bisogno questo straordinario, splendido e disgraziato paese per sentirsi vivo.
Sinner salterà i Giochi di Parigi per una tonsillite. Un male di bambini, quella “cosa” che ci costringeva nell’infanzia a restare a casa. Anche Sinner resterà a casa, ma nel suo caso la notizia è stata una bomba gigantesca, comprensibile sotto il profilo sportivo, un po’ meno per i toni apocalittici che la stanno accompagnando. “Notizia tremenda”. “Notizia catastrofica”. “Notizia devastante”. L’uso delle iperboli è una raffica di ace. Battute di servizio a duecento all’ora. Si resta inchiodati a fondo campo. Tecnicamente, intendiamoci, la notizia ha il suo rilievo. Sinner, numero 1 nella classifica mondiale, rappresentava il sogno di conquistare nel tennis, in questo momento la disciplina più amata dagli italiani, il primo oro nella storia olimpica azzurra. Un podio quasi sicuro per aiutare il nostro sport, lanciato gloriosamente verso il superamento delle 40 medaglie di Tokyo. Il danno, naturalmente, esiste.
Ma poi bisogna guardare oltre e, come si dice nella vita di tutti i giorni, farsene una ragione. A tutto, tranne purtroppo ai seri problemi di salute, altro che tonsillite, c’è un rimedio. Anche all’improvviso forfait di Jannik Sinner a Parigi 2024: abbiamo, in campo, qualcosa come 401 atleti, la nostra partecipazione record.
Nel tremendismo di queste ore, si leggono le difficoltà, le incertezze e la desolazione di una nazione che, ridotta nel calcio a potenza di second’ordine – un po’ come sta accadendo in Europa grazie alla brillantezza dell’attuale governo -, si è aggrappata alla racchetta di Sinner per consolarsi e, magari, per avere un sussulto di orgoglio. Se è triste un popolo che ha bisogno di eroi, immaginarsi che cosa possa essere una nazione dove un tennista debba reggere non solo il peso delle sfide sul campo, ma anche accollarsi tutte le magagne che l’Italia sta fronteggiando dagli anni Novanta.
Ecco allora le iperboli, la frustrazione profonda, le espressioni gravi che trasmette la televisione. Abbiamo mille ragioni per essere realmente devastati: i conti economici, il costo sempre più insostenibile della vita, l’isolamento in Europa, i giovani senza lavoro e senza prospettiva, i femminicidi, le aggressioni brutali quando un padre di famiglia chiede al proprietario di un cane potenzialmente pericoloso di tenerlo al guinzaglio, le previsioni demografiche che indicano una nazione in drammatica decrescita, il cambiamento climatico che brucia le città. Ma l’assenza di Sinner a Parigi 2024 pare in queste ore la vera sciagura nazionale: forse perché, per qualche ora, un suo eventuale trionfo ci avrebbe distratto dalle nostre miserie. O forse perché vale ancora in questo paese, come scrisse Ennio Flaiano nel suo Diário Notturno negli anni Cinquanta, la geniale considerazione che “la situazione politica in Italia è grave, ma non è seria”. È grave l’assenza di Sinner a Parigi. Il resto, al massimo, è solo serio.