A Carlo Nordio non sono piaciuti gli articoli dei giornali relativi all’ultima Relazione sullo Stato di diritto della commissione Europea. Sorpresi e indignati per la falsa rappresentazione che alcuni organi di stampa hanno dato sul rule of law pubblicato ieri. Al contrario, nel valutare il settore chiave dei sistemi giudiziari, l’Italia risulta promossa sotto tutti i parametri. In particolare, nelle sei Raccomandazioni conclusive, in numero pari alla media europea, non vi è alcun invito a modificare i recenti provvedimenti adottati sui reati contro la Pa“, sono le parole dettate dal ministro della Giustizia. Secondo l’inquilino di via Arenula, dunque, i quotidiani e i siti web avrebbero diffuso fake news sul report della Commissione Ue. Ma visto che il dossier è pubblico vale la pena analizzare le dichiarazioni del ministro, punto su punto e carte alle mano.

Le 6 raccomandazioni all’Italia – Partiamo dal fatto che Nordio si vanta quasi delle sei raccomandazioni indirizzate al nostro Paese: un numero che lui definisce nella media Ue. Intanto va sottolineato che solo Paesi come Ungheria (8), Malta, Romania e Slovacchia (7) hanno più recommendations dell’Italia, mentre sistemi come la Francia si fermano a 3. Valutare le richieste della commissione solo a livello numerico, però, non avrebbe alcun senso: la raccomandazioni, ovviamente, vanno “pesate“. Nella sua nota, infatti, il ministro “dimentica” di citare che tra le istanze avanzate nei confronti del nostro Paese c’è quella d’intervenire sul conflitto di interesse e sulla regolamentazione delle lobby, con l’istituzione di un registro operativo delle attività dei rappresentanti di interessi e uno che contenga le informazioni sulle donazioni a fondazioni, partiti politici e campagne elettorali. Preso dalla foga di attaccare i giornali, Nordio dimentica anche di ricordare che tra le raccomandazioni indirizzate al nostro Paese c’è anche la richiesta di riformare l’istituto della diffamazione, della protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, “evitando ogni rischio di incidenza negativa sulla libertà di stampa e tenendo conto delle norme europee in materia di protezione dei giornalisti”. E sempre sul fronte dell’informazione, la Commissione Ue ci chiede ancora una volta di garantire l’indipendenza del nostro servizio pubblico, cioè della Rai. Tutte richieste rimaste inevase fino a questo momento: altro che Italia “promossa sotto tutti i parametri”. Ma andiamo avanti.

Quello che Nordio non dice: le critiche alle sue riforme – Nordio si vanta che tra le sei raccomandazioni dell’Ue non c’è alcun invito a modificare le sue recenti riforme sul tema dei reati contro la Pubblica amministrazione. Ma le recommendation contenute nel rule of law sono per loro natura indicazioni di carattere generale, che non chiedono quasi mai di abrogare tout court un provvedimento legislativo. Quelle di Nordio, poi, sono riforme approvate solo recentemente: il loro effetto dovrà essere valutato più avanti nel tempo. I tecnici di Bruxelles lo dicono esplicitamente quando citano le norme sull’ordinamento giudiziario introdotte dal governo di Giorgia Meloni nell’aprile scorso, esercitando la delega approvata dal Parlamento a giugno 2022 ai tempi in cui la Guardasigilli era Marta Cartabia. “L’effetto della riforma sul sistema giudiziario dovrà essere valutato nel corso del tempo”, si legge nel dossier, a proposito delle preoccupazioni avanzate dall’Associazione nazionale magistrati sui test psico-attitudinali per l’ingresso in magistratura. Per quanto concerne invece la riforma della giustizia penale firmata dal guardasigilli, diventata legge solo poche settimane fa, per il momento gli analisti della Commissione Ue si sono limitati a indicare quali possono essere i rischi di alcuni provvedimenti. E il quadro che emerge è allarmante. “La criminalizzazione dell’abuso d’ufficio e del traffico di influenze fanno parte delle convenzioni internazionali sulla corruzione e sono quindi strumenti essenziali per l’applicazione della legge e l’azione penale per combattere la corruzione”, scrivono, criticando l’abolizione del reato di abuso d’ufficio e la modifica del traffico d’influenze. Nelle note la commissione Ue ricorda come i due reati siano inseriti “nella convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione e il traffico di influenze illecite figura nella convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione. La Commissione ha proposto di criminalizzare tali reati a livello dell’Unione nel maggio 2023, in seguito all’impegno preso dalla sua presidente nel discorso sullo stato dell’Unione del 2022″. Nel report si sottolinea inoltre che l’abuso d’ufficio è previsto come reato in 25 stati membri dell’Unione.

Paese più efficace? Sì, nel 2022 – Di tutto questo, però, non c’è traccia nella dichiarazione di Nordio. Che invece rivendica come “per quanto riguarda l’efficienza della Giustizia”, sia “stato dato atto che le politiche giudiziarie adottate a livello nazionale, in questi due anni, hanno consentito di conseguire i risultati attesi garantendo all’Italia il titolo di Stato Membro primo nel parametro valutativo della efficacia“. A cosa si riferisce il ministro? In che senso l’Italia sarebbe il Paese più efficace d’Europa a livello giudiziario? Semplice, nel report viene dato atto che “l’arretrato delle cause pendenti è notevolmente diminuito. Secondo il Quadro di valutazione Ue della giustizia 2024, nel 2022 il tasso di definizione dei contenziosi civili, commerciali e amministrativi e di altri contenziosi era del 106% e di conseguenza l’Italia risultava lo Stato più efficace nella riduzione degli arretrati“. Nordio dunque si vanta di un record relativo a un anno in cui ha ricoperto l’incarico di ministro della Giustizia solo negli ultimi due mesi (il governo si è insediato alla fine di ottobre del 2022). Il report riconosce che comunque “il numero di cause civili pendenti nel 2022 ha continuato a diminuire” e che “nel settore amministrativo, in primo grado il tasso di definizione delle cause amministrative nel 2022 è stato in Italia il più elevato dell’Ue (134 %), mentre il numero di cause pendenti resta stabile. Per quanto riguarda la giustizia penale, i dati presentati dalle autorità mostrano una diminuzione sostanziale del numero di cause definite”.

E i processi durano ancora troppo – Nel dossier, però, si ricorda che questo trend positivo è legato agli impegni assunti dal nostro Paese per ottenere i fondi del Recovery plan: nel Pnrr si propone di ridurre del 40% la durata media dei processi civili e del 90% il numero dei processi pendenti entro il 2026. Ecco perché il report riconosce che in Italia “la durata dei procedimenti ha continuato a diminuire, anche se costituisce tuttora un grave problema“. Quanto grave? “Secondo il Quadro di valutazione Ue della giustizia 2024 – si legge sempre nel dossier – nel 2022 i tempi di esaurimento dei contenziosi civili e commerciali di primo grado sono diminuiti di 20 giorni rispetto al 2021, ma rimangono tra i più lunghi dell’Ue, dato che occorrono ancora 540 giorni per risolvere il caso“. È anche per questo motivo se “l’Italia rimane soggetta alla sorveglianza rafforzata del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per la durata dei procedimenti amministrativi e penali”. Tutti questi dati, però, nel comunicato denso di “sorpresa” e “indignazione” di Nordio non ci sono.

“Premio per la digitalizzazione”. Ma siamo ultimi in Ue – Il ministro poi si vanta di aver ricevuto “il plauso della Commissione europea anche sotto il parametro della qualità del servizio. Sono stati apportati miglioramenti significativi nell’assunzione di nuovi magistrati e personale amministrativo e gli addetti all’Ufficio del Processo hanno migliorato la produttività e la qualità del sistema giudiziario. La Commissione premia l’Italia anche sotto l’aspetto della digitalizzazione“. Sorvolando sul fatto che gli addetti all’Ufficio del Processo erano previsti dalla riforma della ministra Cartabia col governo di Mario Draghi, va segnalato come il rule of law non assegni alcun premio al nostro Paese per la digitalizzazione. Anzi tra le sei raccomandazioni c’è anche quella relativa a un miglioramento del “livello di digitalizzazione nelle sedi penali e nelle procure”. Un’istanza già avanzata in passato e sul quale il nostro Paese sta facendo alcuni “progressi”. La commissione Ue riconosce effettivamente che “la giustizia civile è ora pienamente digitalizzata e la giustizia tributaria dovrebbe esserlo da settembre 2024” e dunque “sono stati compiuti ulteriori progressi per migliorare la digitalizzazione degli organi giurisdizionali penali e delle procure”. Poi però sottolinea come sussistano “problemi nell’attuazione“. Che tipo di problemi? Il dossier ricorda che “nella Relazione sullo Stato di diritto 2023 si raccomandava all’Italia di proseguire gli sforzi volti a migliorare ulteriormente il livello di digitalizzazione nelle sedi penali e nelle procure. Secondo il Quadro di valutazione Ue della giustizia 2024, l’Italia si classifica ultima a livello dell’Ue in termini di soluzioni digitali per celebrare e seguire il procedimento giudiziario penale. Per ora è stata digitalizzata solo una parte trascurabile di tale procedimento“. Insomma, bene ma non benissimo. Anzi forse neanche troppo bene, visto che il dossier riporta anche le critiche del Csm all’App, cioè il sistema di gestione per il processo penale telematico varata da via Arenula: “È instabile, lento e di difficile utilizzo”.

“Progressi nel conflitto d’interessi”. Ma grazie di M5s e Pd – Il ministro sostiene inoltre come “elementi positivi” emergano “anche dalla valutazione del quadro anticorruzione che certifica a nostro favore il compimento di ulteriori progressi nell’adozione di una legislazione globale in materia di conflitti di interessì“. Il guardasigilli, però, riporta solo una parte della frase contenuta nel dossier. Dopo aver effettivamente segnalato la presenza di “ulteriori progressi nell’adozione di norme complessive sui conflitti di interessi”, infatti, nel report si legge che non è stato registrato “nessun ulteriore progresso nell’adozione di disposizioni sul lobbying per l’istituzione di un registro operativo delle attività dei rappresentanti di interessi, compresa un’impronta legislativa”. E anche sul fronte del conflitto d’interessi l’opinione della commissione non è totalmente positiva, visto che tra le sei raccomandazioni è contenuta anche la richiesta di varare una normativa in questo senso. Quali sarebbero dunque i “progressi” di cui si vanta Nordio? Nel dossier si riporta la proposta di legge approvata dalla Camera il 28 maggio scorso “intesa ad aggiornare la disciplina in materia di conflitto di interessi per i titolari di cariche di governo statali, regionali o locali e dei membri di alcune autorità di vigilanza, e a vietare ai titolari di cariche pubbliche di ricevere finanziamenti da Stati stranieri”. Si tratta del provvedimento presentato dalle opposizioni, con Giuseppe Conte come primo firmatario, ma poi “svuotato” in Commissione dalla maggioranza di centrodestra, che aveva trasformato la proposta in una delega al governo da esercitare in 24 mesi: anche per questo motivo il leader del M5s aveva polemicamente ritirato la sua firma. Tra i “progressi” compiuti dal nostro Paese in tema di conflitto d’interessi anche la proposta di legge presentata nel marzo del 2023 “intesa a modificare e rafforzare il Regolamento interno della Camera dei deputati codificando alcune disposizioni sulla trasparenza del Codice di condotta del 2016 e inasprendo le sanzioni in caso di violazione”. Si tratta di una norma – il primo firmatario è Luca Pastorino, deputato del Pd – presentata per dare seguito a una richiesta formulata dal Greco, l’organo del Consiglio d’Europa che si occupa di lotta alla corruzione. Nel report si legge: “Considerando che una delle proposte legislative è stata approvata dalla Camera dei deputati ed entrambe sono in attesa di adozione senza un termine specifico, sono stati compiuti ulteriori progressi nell’attuazione delle raccomandazioni formulate negli anni precedenti”. Insomma: Nordio si vanta di due piccoli miglioramenti segnalati dall’Ue nel campo del conflitto d’interessi, ma in entrambi i casi si tratta di proposte di legge presentate da esponenti dell’opposizione.

Meno condanne per corruzione, ma Nordio non lo dice – Quando parla di “quadro anticorruzione“, invece, il ministro evita di citare altre parti del dossier. “La percezione fra gli esperti e i dirigenti aziendali è che il livello di corruzione nel settore pubblico continui ad essere relativamente elevato”, si legge nella Relazione, che segnala anche come sia diminuito il numero di condanne nei confronti di persone fisiche per reati di corruzione“: dalle 1483 del 2022 si è scesi a 1361 del 2023, mentre al momento si contano 143 condanne nel corso del 2024. Calato anche il numero di condanne per persone giuridiche, da 19 a 9 tra il 2022 e il 2023. Possibile dunque che nel nostro Paese ci sia meno corruzione? In realtà il dossier sottolinea come fra gli esperti e i dirigenti aziendali la percezione sul livello di corruzione nel settore pubblico “continui a essere relativamente elevato”. E infatti nel 2023 l’Indice di percezione della corruzione di Transparency International ha assegnato all’Italia un punteggio di 56/100, piazzando il nostro Paese al 17esimo posto in Ue e al 42esimo a livello mondiale. Numeri rimasti relativamente stabili (e anzi in leggero peggioramento) negli ultimi cinque anni, quando invece sono aumentati i casi di sospensione della pena per casi di corruzione: 108 (pari al 75 % delle condanne totali) finora nel 2024, 931 (68 %) nel 2023 e 1032 (70 %) nel 2022.

L’attacco del ministro alla stampa – E sempre sul fronte della lotta alla corruzione, Nordio ha dimenticato di citare le preoccupazioni contenute nel Rule of law relative all’ennesima riforma della prescrizione. “Le proposte modifiche dei termini di prescrizione, attualmente all’esame del Parlamento, potrebbero ridurre il tempo disponibile per svolgere i procedimenti penali, anche nei casi di corruzione”, si legge nel dossier. Invece di prendere atto dell’allarme proveniente da Bruxelles, però, il ministro si lamenta per gli articoli dei giornali.”Resta l’amarezza per una falsa rappresentazione nociva all’immagine del Paese che sembra riflettere la volontà di una strumentale polemica piuttosto che rilevare il lavoro fatto sulla Giustizia che è stato così tanto apprezzato dalla stessa Commissione”, dice ancora il guardasigilli. Ma in effetti il comunicato dei ministro conferma almeno una parte della Relazione sullo Stato di diritto: quella relativa alla libertà di stampa. “Le sfide che i giornalisti devono affrontare nell’esercizio della loro professione sono ancora numerose”, si legge nel dossier, in cui si sottolinea come il governo non abbia fatto alcun passo avanti per riformare le norme sulla diffamazione. Tutto questo mentre in Italia aumentano le querele temerarie, cioè le azioni giudiziarie presentate solo con l’obiettivo d’intimidire i cronisti: spesso a presentarle sono proprio i politici. Nel 2023 hanno rappresentato il 34% dei casi complessivi registrati e accertati di quelle che il rapporto definisce come “minacce all’incolumità dei giornalisti”. Nello stesso periodo sono stati 98 gli atti intimidatori nei confronti dei cronisti. È per questo tipo di cose che un ministro della Giustizia dovrebbe stupirsi e mostrarsi indignato.

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