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“Sangue italiano”, in un libro 153 delitti dall’Unità a oggi. Ecco perché non possiamo dirci “brava gente”

Il giornalista Roberto Casalini ricostruisce i crimini più efferati commessi nel nostro Paese dalla rivolta di Bronte (1860) all'assassinio di Willy Monteiro (2020). Fra cronaca nera, terrorismo, stragi. Senza fare sconti a chi li ha commessi indossando una divisa

di Mario Portanova
“Sangue italiano”, in un libro 153 delitti dall’Unità a oggi. Ecco perché non possiamo dirci “brava gente”

Altro che il giallo dell’estate. Con uno sforzo enciclopedico non indifferente, Roberto Casalini i grandi delitti italiani li ha messi tutti insieme, e potete leggerli uno in fila all’altro nel libro Sangue italiano – Delitti, criminalità e violenza pubblica dal 1860 a oggi (Neri Pozza, 320 pagg., 20 euro).

I casi raccontati sono ben 153, ciascuno occupa un paio di pagine. Non si tratta di schede, ma di piccoli racconti acuti e avvincenti, ben inseriti nel contesto storico e nel costume dell’epoca. Ne viene fuori la biografia nera del nostro Paese, dove i delitti del popolo si intrecciano coi delitti del potere. Casalini, giornalista di lungo corso e colonna del nostro mensile FQ MillenniuM, li mette sullo stesso piano: la divisa o, peggio, l’alta carica politica non assolvono dall’orrore. Anzi. L’arma del delitto può essere impugnata dal bandito e dal nobiluomo, dal contadino analfabeta e dal generale pluridecorato, dalla ricca borghese e dall’emarginato di periferia, dal mafioso spietato e dall’idealista allucinato. Italiani brava gente? L’espressione ebbe fortuna nel Dopoguerra per distinguerci dagli alleati tedeschi e dalle loro impareggiabili atrocità, ma per meritarsela davvero non basta non aver organizzato campi di sterminio.

Si comincia con “il carnevale selvaggio di Bronte” (1860), la rivolta contadina per la distribuzione delle terre che fa 16 morti fra i “signori” del paese alle falde dell’Etna. Al notaio Cannata uno dei rivoltosi, detto Caino, mangia il fegato tra due fette di pane. La folla grida “Viva l’Italia, viva Garibaldi“. E invece Garibaldi invia Nino Bixio a domare la rivolta. L’esito di un processo sommario è di cinque fucilati e cento mandati in carcere a Catania.

Si finisce con Willy Monteiro Duarte, il giovane italiano di origine capoverdiana che abitava a Colleferro, vicino a Roma, ammazzato di botte dai fratelli Gabriele e Marco Bianchi nel 2020, per aver cercato di far da paciere in una rissa.

Fra l’uno e l’altro si dipanano delitti celebri o dimenticati, piccole storie ignobili e grandi trame eversive. I briganti e i crimini di guerra dei soldati piemontesi. Il “vampiro” di Bottanuco (Bergamo), un ragazzino che uccideva giovani donne e infieriva su di loro a morsi, prima di finire in carcere ed essere esaminato dal criminologo di grido Cesare Lombroso. E ancora, scavallando il 1900, l’assassinio di Maria Goretti e l’operazione immagine della Chiesa che ne fa un’icona angelica, bionda e slanciata, l’opposto della povera bimba in carne e ossa. I crimini del colonialismo italiano e quelli del fascismo nascente. La saponificatrice di Correggio. Marzabotto e le Fosse Ardeatine. E così via. Il mostro della Salaria di cui scrisse Flaiano, il caso Montesi e i veleni democristiani. Il nuovo corso delle mafie e gli intrighi dietro la morte di Enrico Mattei. La stagione dei gangster milanesi (Turatello, Vallanzasca…) e l’incursione dei marsigliesi a Roma, i sequestri di persona, le stragi fra neofascismo e servizi segreti, il terrorismo rosso e nero… E Pasolini, e il Circeo.

Così Casalini ci porta fino agli anni più recenti. Il numero di omicidi in Italia crolla rispetto al passato. A fine Ottocento erano quattromila all’anno, nei plumbei anni Settanta 1400 (non solo per terrorismo e stragi), 746 nel 2000, 285 nel 2023. In parallelo alla drastica riduzione dei fatti di sangue è cresciuta l’ossessione mediatica del “giallo”, ben simboleggiato dal famoso plastico esibito a Porta a Porta nella puntata sul delitto di Cogne (2002). Gli omicidi diminuiscono, ma – e siamo ai giorni nostri – cresce l’allarme sui femminicidi: a morire ammazzate sono soprattutto le donne, per mano di mariti, fidanzati, amanti, molestatori… Scrivendo di Giulia Cecchettin, l’autore ci ricorda come il femminicidio sia ben diverso “dal vecchio omicidio passionale”, e non sia soltanto “un residuo di arcaismo e arretratezza”.

Non è sempre facile incastonare certe efferatezze nel contesto storico e sociale del loro tempo. E Casalini, onestamente, lo ammette. “I delitti del nuovo millennio“, scrive, “sono a volte difficili da decifrare. Perché una madre che tutti, credo senza mentire, hanno descritto sollecita e premurosa uccide il figlio di tre anni? Quale libertà cercano due adolescenti che hanno tutto, sterminando i familiari? In quale mondo vivono, a quale società, a quale città e a quale famiglia appartengono due trentenni che massacrano un ventenne per il gusto di uccidere qualcuno?”.

Giovedi 25 luglio alle 20 Roberto Casalini discute del libro con Peter Gomez, direttore di ilfattoquotidiano.it, e con la giornalista Simonetta Selloni al Festival Liquida di Codrongianos (Sassari).

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