Tutto su Lorenzo Musetti e, soprattutto, Jasmine Paolini. Dopo il ritiro di Jannik Sinner è sulle loro spalle che si sono riversate le maggiori speranze di rivedere una medaglia al collo di un tennista azzurro dopo esattamente 100 anni. L’ultimo (e fino a qui unico) ad esserci riuscito è stato Uberto De Morpurgo nel 1924, nell’edizione disputata proprio a Parigi. Un tabù insomma, che però questa volta la squadra azzurra pare essere pronta a spezzare, anche senza la presenza del numero 1 del mondo. Basta allargare il cerchio della disciplina e viene fuori quello che l’Italia rappresenta: una delle nazioni più accreditate per salire su un podio della racchetta.

Le Olimpiadi sono un torneo da sempre strano e ambiguo nel tennis. Un appuntamento prestigioso, atteso, ma mai troppo. Sarà forse per il bando che venne applicato tra il 1928 e il 1988, oppure per quella ciclicità quadriennale che stride in uno sport che vive di annualità. L’albo d’oro racchiude nomi illustri come Roger Federer (argento a Londra 2012), Andrè Agassi (oro ad Atlanta 1996), Andy Murray (oro a Londra 2012 e Rio 2016), Rafa Nadal (oro a Pechino 2008), ma si trovano anche protagonisti inattesi come Nicolas Massù (oro ad Atene 2004), Marc Rosset (oro a Barcellona 1992), Leander Paes (bronzo ad Atlanta 1996) o Arnaud Di Pasquale (bronzo a Sydney 2000). L’ultimo podio di Tokyo 2020 è stato Alexander Zverev, Karen Khachanov e Pablo Carreno Busta. È un po’ un terreno di conquista per outsider, per chi negli Slam trova la porta della gloria chiusa costantemente. E le cose nel femminile non sono molto diverse. Alle medaglie d’oro di Steffi Graf (Seul 1988), Serena Williams (Londra 2012) e Justine Henin (Atene 2004) si associano quelle di Monica Puig (Rio 2016) e Belinda Bencic (Tokyo 2020).

Un preambolo che serve a spiegare le ragioni per cui una medaglia a Lorenzo Musetti (esordio complicato contro il padrone di casa Gael Monfils) non è così impossibile. Anzi. Il carrarino arriva a Parigi nel suo migliore periodo della carriera, dopo la prima semifinale Slam conquistata a Wimbledon. Inoltre ritrova la terra rossa, la superficie preferita. Il sorteggio dal lato di Djokovic non è stato però troppo benevolo. Le insidie sono parecchio, ma lo spazio per un risultato importante c’è. Non è andata benissimo nemmeno a Matteo Arnaldi. L’esordio contro il francese Arthur Fils (uno dei giocatori più in forma del momento) sarà una prova durissima. È andata invece meglio a Luciano Darderi e Andrea Vavassori (sostituto di Sinner). Il primo se la vedrà contro Tommy Paul (gran giocatore ma non certo un terraiolo), il secondo con Pedro Martinez.

Per una volta però non è al maschile che il tennis italiano guarda per eliminare la maledizione olimpica. Grandi aspettative sono riposte su Jasmine Paolini dopo le finali perse a Roland Garros e Wimbledon. La lucchese ha voglia di rifarsi, di saldare i conti in sospeso con il trionfo. È la quarta favorita del tabellone, la seconda per moltissimi, ritrova il teatro della sua prima finale Slam e fino alla finale non avrà di fronte Iga Swiatek. L’esordio contro Ana Bogdan è il primo passo di un cammino fattibile, in cui l’unico vero pericolo sembra essere Barbora Krejcikova, l’avversaria che l’ha battuta ai Championships e che al Roland Garros ha già vinto nel 2022. Oltre a Paolini, sono al via anche Lucia Bronzetti (match inaugurale con Donna Vekic) e Elisabetta Cocciaretto (esordio contro Diana Šnaider).

Altro territorio fertile per una medaglia è il doppio: femminile, maschile, misto. In ogni sfumatura l’Italia ha le luci dei riflettori puntate addosso. Se Bronzetti/Cocciaretto e Darderi/Musetti sono coppie da testare, ben altre sicurezze trasmettono Paolini/Errani e Bolelli/Vavassori. Le prime sono al numero 4 della Race per le Wta Finals e in questo 2024 hanno raggiunto una finale Slam proprio al Roland Garros, i secondi invece portano in dote l’ultimo atto a Parigi, agli Australian Open e il numero 3 della Race per le Atp Finals di Torino. E il misto? Saltata la suggestione Sinner/Paolini, ecco formarsi la coppia Errani/Vavassori. L’alchimia in campo è da trovare, le qualità però abbonda. Le possibilità per una medaglia ci sono.

Per importanza il torneo olimpico è sempre stato dietro a Slam e a tanti tornei 1000 della stagione, sia nel circuito maschile che femminile. E probabilmente sarà così anche in futuro. Questa edizione però è un po’ diversa. Su di essa aleggia un’atmosfera particolare, paragonabile soltanto a quella che si respirava dodici anni fa, a Londra, quando l’appuntamento olimpico prese vita tra le tribune di Wimbledon. Il fatto che si giochi lì dove si disputa il Roland Garros rende il torneo una sorta di quinto Slam. Ma la location non è l’unico fattore in gioco. Questa volta c’è molto altro. In primis le ambizioni di Novak Djokovic (esordio contro Matthew Ebden), capitato nel lato di Alexander Zverev e Stefanos Tsitsipas. Queste Olimpiadi sono sempre state il primo obiettivo stagionale del serbo. A Parigi intende riempire l’ultimo tassello del suo personale puzzle, ovvero conquistare quella medaglia d’oro che gli è sfuggita più volte. E probabilmente sarà anche l’ultima occasione della carriera. Il suo miglior risultato a cinque cerchi è rappresentato dal bronzo di Pechino 2008. Troppo poco per chi è abituato a collezionare record. Nole ha l’occasione di riscattare una stagione fin qui fallimentare, avara di titoli, piena di incertezze. La recente finale a Wimbledon ha dato buone indicazioni, ma ha anche messo in evidenza la distanza attuale con il grande rivale di questa edizione, Carlos Alcaraz.

Il campione di Wimbledon è il grande favorito e sogna una doppietta memorabile in terra parigina dopo il successo al Roland Garros di due mesi fa. Il suo esordio contro Hady Habib è tutt’altro che complicato, così come lo è il suo lato di tabellone, dove trovano posto anche Daniil Medvedev e Casper Ruud. Un filotto Roland Garros-Championships-Olimpiadi sarebbe qualcosa di incredibile e storico. La Ville Lumière per Alcaraz racchiude anche altro, da ricercare nel doppio. Il duo tra lui e Nadal è una suggestione che affascina tutti gli appassionati, creando aspettative sopra ogni immaginazione. Desiderato, invocato, e alla fine ottenuto, il doppio tra Carlitos e Rafa è un punto di unione e un simbolico passaggio di consegne tra passato e futuro. Il meglio che la Spagna tennistica ha mai prodotto nella sua storia. Inutile sottolineare quale sia il loro obiettivo. Nadal giocherà anche il singolare (primo match contro Marton Fucsovic), anche se le sue chance per un ultimo acuto sono poche. Le valutazioni andranno fatte partita dopo partita, a cominciare dal possibile secondo turno: Djokovic. Sulla carta, il meglio che questa Olimpiade potesse sperare.

Oltre a Djokovic e Alcaraz nutrono possibilità di medaglia anche i vari Alexander Zverev (campione in carica), Daniil Medvedev, Alex de Minaur, Casper Ruud e Stefanos Tsitsipas. Tutti vogliosi di battere un colpo importante che possa lanciarli verso una seconda parte di stagione da protagonisti. Ma tra tante aspirazioni, c’è spazio anche per una pagina conclusiva. Andy Murray, Sir di Gran Bretagna, idolo di Wimbledon, ha scelto il palcoscenico olimpico per la sua ultima performance della carriera. Quasi inevitabile per il più medagliato nella storia del tennis alle Olimpiadi con i due ori vinti tra Londra 2012 e Rio 2016. Una partecipazione voluta fortemente, passata oltre alle ormai limitanti difficoltà fisiche. O, almeno, in parte. Murray infatti non giocherà il singolare, ma solo il doppio in coppia con Daniel Evans. È anche per decisioni come queste che stavolta l’Olimpiade assomiglia tanto a uno Slam.

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Sinner non andrà alle Olimpiadi: ora tifiamo per la variabile impazzita

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