L’intesa è arrivata dopo 14 ore di trattativa, finita all’1.15 di venerdì, e prevede una sensibile riduzione dei numeri con la garanzia di una forte integrazione salariale e una sottolineatura non da poco in visa dell’auspicata cessione a un altro privato: l’accordo del 6 settembre 2018 è ancora valido, in particolar modo per quanto riguarda la salvaguardia occupazionale dei lavoratori di Ilva in amministrazione straordinaria. Dopo l’annuncio choc da parte dei commissari di Acciaierie d’Italia che avevano richiesto la cassa integrazione straordinaria per 5.200 dipendenti, di cui 4.400 solo a Taranto, con un orizzonte temporale indefinito, i sindacati sono riusciti a mettere alcuni “puntini sulle i” durante il tavolo al ministero del Lavoro.

Alla fine il verbale di accordo prevede un numero massimo di lavoratori in Cigs fissato a 4.050, una riduzione di circa il 20 per cento rispetto alla richiesta della triade di commissari del governo. Taranto resta ovviamente lo stabilimento più colpito, ma comunque i lavoratori coinvolti calano a 3.500 a Taranto, ai quali se ne aggiungeranno 270 a Genova e 175 a Novi Ligure. La novità più importante, stando al piano presentato dalla stessa Adi, è che da ottobre – quando è previsto il riavvio di Afo1, si scende sotto quota 3mila addetti.

Da quel momento, secondo il cronoprogramma, i numeri andranno a diminuire progressivamente fino ad azzerarsi nel marzo 2026 quando ci saranno in marcia tre altoforni. La cassa quindi sarà direttamente collegata alla ripresa produttiva, che dovrebbe importante già nel 2025 quando è previsto un balzo dagli 1.9-2.2 milioni di tonnellate di acciaio stimati quest’anno a 4.5-5 milioni. Il raddoppio della produzione, nel settembre del prossimo anno, dovrebbe far scendere i numeri degli operai in Cigs a 1.220, prima di una leggera risalita nei mesi finali del 2025. Finora, ha spiegato Adi durante la riunione a quanto apprende Ilfattoquotidiano.it, la produzione è stata di 950mila tonnellate nel 2024 e sono stati 2 milioni di euro per la cassa integrazione.

L’intesa raggiunta nella notte sigla anche il riconoscimento da parte dell’azienda di un’integrazione salariale ai lavoratori in cassa che assicurerà il 70% della retribuzione globale annua lorda, senza contare la tredicesima e il premio. Viene inoltre fissato il periodo di validità della Cigs in dodici mesi – a partire da marzo 2024 – che sarà rinnovabile per un anno altro ma solo dopo un esame congiunto tra l’azienda e i rappresentanti dei metalmeccanici.

L’accordo, sottolinea il segretario generale della Uilm Rocco Palombella, “garantisce i livelli occupazionali ed indica una nuova prospettiva industriale, con la ripartenza di tutti gli altoforni e tuti impianti entro il primo trimestre del 2026, propedeutica alla auspicata transizione verso i forni elettrici”. Ma, sottolinea, “non è sufficiente perché rappresenta un piano di salvataggio” e “tutto quello che verrà, comprese le manifestazioni di interesse e il bando di gara, non potrà prescindere dalla decarbonizzazione e dagli investimenti sui forni elettrici. I sindacati, conclude, hanno “fatto la loro parte, adesso ci aspettiamo che il governo e i commissari facciano la loro”.

“Nell’accordo c’è un piano di ripartenza che i commissari straordinari dovranno mettere in pratica, c’è la tutela occupazionale perché non sono previsti esuberi e soprattutto alla fine di questo percorso ci sarà la possibilità per tutti di rientrare al lavoro. Con questo accordo vogliamo riconsegnare dignità e speranza ai lavoratori. È un risultato importante, ora ognuno faccia la sua parte nell’applicazione dell’accordo in tutte le sue parti”, ha detto Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil.

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