L’impegno sul fronte ambientale è stato dichiarato fin dall’inizio. Gli organizzatori delle Olimpiadi francesi hanno puntato chiaramente sulla sostenibilità, come è ben scritto anche sul sito, secondo cui i giochi saranno, appunto “spettacolari e sostenibili”. Come? Anzitutto, si è puntato sul riutilizzo di edifici esistenti, evitando consumo di suolo, a parte il villaggio degli atleti, costruito però senza condizionatori. In secondo luogo, si è puntato sul dimezzamento delle emissioni di CO2 rispetto all’edizione precedente, quella di Tokyo sotto Covid, una scelta più realistica dell’ipocrisia dell’essere totalmente “carbon neutral”.
Grande spinta all’utilizzo delle biciclette, un’offerta gastronomica che punta soprattutto sulle proteine vegetali, riduzione dei rifiuti usa e getta, adesione ad un documento scritto dal ministero dello sport insieme al Wwf in vista dei Giochi, che prevedeva quindici impegni onerosi, come la riduzione del 90% della plastica, ma anche la soppressione del 95% delle tratte in aereo rimpiazzabili con tragitti alternativi sotto le cinque ore.
Ora, proprio quest’ultimo punto rende evidente come molti degli obiettivi realmente ecologici non saranno realizzati, perché, di fatto, impossibili da realizzare per eventi come questi. Non a caso, anche questi Giochi puntano – il solito coniglio dal cappello magico – sulle compensazioni della CO2, ovvero azioni positive per l’ambiente compiute in altri luoghi del mondo per “neutralizzare” quelle prodotte ai Giochi. Un sistema che ha già mostrato i suoi fallimenti e il suo essere spesso e volentieri mero greenwashing.
Chiaramente, tutti gli sforzi per avere Olimpiadi sostenibili sono benvenuti, ma, diciamolo, non renderanno mai un’Olimpiade ecologica. Forse già il fatto che la si definisca “spettacolare e sostenibile”, un ossimoro, è la spia di una contraddizione.
Il punto è sempre lo stesso e riguarda tutti i mega eventi globali, e in particolare quelli relativi allo sport. Non puoi far arrivare da tutto il mondo decine di migliaia tra atleti, delegazioni, giornalisti e centinaia di migliaia di spettatori e poi sperare che la riduzione delle proteine animali o della plastica renda l’evento sostenibile. È lo spostamento massiccio delle persone il dato in assoluto più inquinante di questi eventi, che, essendo internazionali, vedono per lo più persone salire sui jet, altro che treni.
D’altronde, lo sport in sé è fonte di grandissime emissioni proprio legate al trasporto aereo. Se visualizzassimo per un attimo tutti gli spostamenti che ogni giorno squadre di calcio, tennisti e altri sportivi fanno in tutto il mondo ci renderemmo conto davvero di quanto il tanto amato sport contribuisca alla crisi climatica globale. Sono numeri impressionanti e ricordo di essermene resa conto leggendo la peraltro bellissima biografia di Agassi, Open. Praticamente, la vita di un tennista si svolge sugli aerei, vista la quantità di tornei in un anno in tutto il mondo.
Tornando alle Olimpiadi: purtroppo, ripeto, è il concetto di mega evento globale concentrato in un’unica città ad essere insostenibile. Eppure non riusciamo a rinunciare a questi eventi, è come se la nostra identità fosse appigliata a loro, come se non potessimo farne a meno (anche per il profitto miliardario che generano, ovviamente). Forse una soluzione ci sarebbe. Quello di fare un’Olimpiade diffusa in più paesi, provando concretamente a ridurre gli spostamenti. Ormai gli eventi vivono soprattutto in streaming, più che in presenza, dunque per chi guarda da casa la differenza sarebbe nulla. In più, si potrebbe portare ricchezza in più luoghi, invece che in uno. Perché non lo si faccia mi è difficile capirlo. Finirebbe anche questa corsa ansiogena e un po’ assurda alla candidatura, che mi sembra che lasci davvero il tempo che trova.
In ogni caso, lo sport di oggi, miliardario e globale, e responsabile grandemente di emissioni che aggravano la crisi climatica, deve ritrovare una sua dimensione sostenibile. Ma vera. Non il panino con l’hamburger vegetale o la pista ciclabile in più. Né, tantomeno, la favoletta della compensazione del carbonio emesso altrove.