di Federica Pistono*
L’ultima distopia egiziana appena giunta nelle librerie italiane è Malaz, la città della Rinascita di Ahmad Salah al-Mahdi (Atmosphere, 2024, traduzione di B. Benini). L’azione è collocata in Egitto, all’indomani di una guerra atomica che ha portato alla disgregazione della civiltà in tutto il pianeta. La popolazione mondiale è regredita a uno stile di vita primitivo e brutale, è tornato in auge il culto degli antichi dei, l’analfabetismo dilaga. Il clima è cambiato, fa freddo e il cielo è perennemente coperto di nuvole, residui dell’inverno nucleare. L’unico posto sicuro, al Nord, è la città di Malaz, cinta da alte mura e protetta dai suoi guerrieri, i temibili Sayyadin, i Cacciatori.
A Malaz vive il protagonista Qasim, un nabbash, uno spazzino, che è anche un esperto meccanico e un metallurgista autodidatta, una delle poche persone che, nella società post-apocalittica, sia ancora in grado di leggere e scrivere. Quando un pericolo senza nome si affaccia dal Sud del paese, l’ultima speranza di salvezza è affidata proprio a Qasim, il Lupo solitario.
L’autore, Ahmad Salah al-Mahdi (classe 1991), è uno scrittore, traduttore e critico egiziano, che ha al suo attivo cinque romanzi e diversi racconti, pubblicati su famose riviste letterarie quali The Markez Review e Y’Alla _ A Texan Journal of Middle Eastern Literature. Le sue opere si caratterizzano per un accostamento di motivi tratti dalla narrativa occidentale, fantasy e horror, e da elementi estrapolati da antiche leggende popolari egiziane.
Il testo offre al lettore un’avventura avvincente, dal ritmo incalzante, adatta alle calde giornate estive.
Malaz, la città della Rinascita si colloca nell’ambito della ricca e variegata narrativa distopica egiziana, immancabilmente ambientata in un futuro prossimo, in una società indesiderabile e terrificante, in cui le tendenze sociali del presente, percepite come altamente negative, sono portate a estremi apocalittici. Quando l’utopia si trasforma in distopia, cioè, la letteratura può proporci due tipologie di narrazioni: quelle ambientate in una società in cui si assiste al sorgere di un regime totalitario, in cui i diritti umani e le libertà civili sono annientati e il dissenso è criminalizzato, e quelle in cui un evento drammatico, come un’apocalisse nucleare, un disastro ambientale, la diffusione di un virus, ha irrimediabilmente compromesso lo stile di vita al quale siamo abituati e decimato la popolazione. Per un immediato riferimento alla narrativa occidentale, si può pensare, per la prima tipologia di racconto, a 1984 di George Orwell, per la seconda, a La strada di Cormac Mc Carthy.
In ambedue le situazioni abbozzate, quella che ipotizza l’affermarsi di un regime autocratico e quella post-apocalittica, il lettore è proiettato in un mondo in cui prendono corpo i peggiori incubi del presente e i personaggi dimostrano di aver perduto gran parte delle caratteristiche dell’umanità civilizzata: empatia e senso di solidarietà ma anche cultura, memoria storica e capacità di decodificare i tratti di una realtà ostile.
Anche la distopia egiziana segue questa impostazione, per proporre intrecci originali, con un felice accostamento di eventi tratti dalla storia contemporanea, motivi estrapolati dalla narrativa catastrofica, elementi ricavati dalla cultura araba popolare, collocati realisticamente nel contesto egiziano.
Malaz, la città della Rinascita è un romanzo che appartiene dunque al secondo filone della distopia egiziana, collocato in un panorama ricco e screziato di venature diverse.
Considerato una pietra miliare della narrativa distopica egiziana è il romanzo Utopia di Ahmed Khaled Tawfik (Atmosphere Libri, 2019, traduzione di B. Benini), il cui successo di pubblico e critica si basa sulla scelta di tematiche a sfondo sociale e sull’accostamento di influssi della fantascienza occidentale, stile narrativo postmoderno e ambientazione specificamente egiziana. Interessante risulta il romanzo La fila di Basma Abdel Aziz (Produzioni Nero, 2018, traduzione di F. Fischione), storia di una città senza nome, in cui la Porta – un’autorità centrale – ha assunto il potere assoluto in seguito agli Sciagurati Eventi, un’allusione alla primavera araba del 2011. I cittadini sono costretti a fare richiesta per ogni cosa, e davanti alla Porta chiusa si forma una lunga coda di questuanti: la Fila. L’autrice racconta i mesi trascorsi nella Fila da parte di un’umanità precipitata in una realtà parallela.
Otared, tre stagioni all’inferno di Mohammad Rabie (Atmosphere, 2023, traduzione di F. Pistono), ci presenta un mondo in cui la vita umana non è altro che una fase dell’eterno castigo infernale, in cui ci troviamo a scontare i nostri peccati dimenticati. L’inferno è evidentemente metafora della dittatura, dell’oppressione dei cittadini da parte di un regime autocratico, dell’assenza di libertà, del disordine che accompagna una rivoluzione fallita.
* Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba