Agip era un’azienda petrolifera pubblica fondata sotto il fascismo. Enrico Mattei fu incaricato di liquidarla, subito dopo la guerra, ma lui aveva altro per la testa e ne fece un grande ente pubblico nel campo degli idrocarburi, in competizione con i colossi del petrolio. Purtroppo la sua visione è stata presto messa da parte e le industrie pubbliche che costavano più del guadagno che producevano (a causa di sciagurate gestioni) furono privatizzate. Il pensiero di farle funzionare bene, come fece Mattei fondando Eni, fu presto scartato. I privati spremono le aziende e poi le smantellano.

Una grande impresa pubblica, molto problematica, ancora sopravvive: produce, con costi altissimi, un prodotto che, trovando scarsa collocazione in Italia, viene esportato, gratis, verso paesi che ne traggono grandi profitti. Che fare? Visto che comunque un po’ dei suoi prodotti sono assorbiti a livello nazionale, si pensa di ridimensionarla: è inutile produrre grandi quantità di qualcosa che regaliamo agli altri, avendo speso senza ricavarne guadagno. Anzi, perdendoci, visto che i prodotti che scartiamo vengono usati per farci concorrenza. Si potrebbe tentare di capire come mai il nostro mercato non assorba un prodotto tanto ambito all’estero, ma pare che questa eventualità non sia neppure presa in considerazione: non ci sono Mattei in giro, solo qualche Matteo.

Avete indovinato a quale impresa mi riferisco? È la più importante, su cui si basa il futuro del paese. Vabbé, ve lo dico: è l’università che, a sua volta, si fonda sull’istruzione preuniversitaria. Senza un capitale umano con alta qualificazione, una nazione semplicemente decade. Il “mercato” estero ogni anno assorbe 120.000 giovani italiani, in gran parte laureati: se ne vanno perché il mercato interno offre stipendi inferiori a quelli che altri sono disposti a pagare. I paesi che assorbono i nostri laureati prendono i migliori, e li pagano bene. Quelli che restano si accontentano di lavori sottopagati, spesso precari.

E ora passiamo all’inverno demografico, che pare sia il problema numero uno: dobbiamo fare più figli. Viene spontanea la domanda: se ne facessimo di più, la fuga dei giovani diminuirebbe? Non è che aumenterebbe? Il deficit di laureati, rispetto ad altri paesi avanzati, pare sia alla base della nostra scarsa competitività: dobbiamo produrne di più. Ah bene, e di nuovo: se ne producessimo di più, troverebbero lavoro oppure si aggiungerebbero a quelli che fuggono all’estero?

La demografia e l’alta formazione sarebbero problemi se i giovani laureati fossero valorizzati in modo totale e si sentisse la necessità di averne di più, perché i sistemi produttivi soffrono per la loro mancanza. Ma i sistemi produttivi ne assorbono pochi e li pagano male. Saranno scemi quelli che se li prendono, oppure quelli che non sono disposti a pagare per averli?
Pare che il problema del costo del sistema universitario sarà risolto con la stessa logica che ha visto privatizzare e poi ridimensionare altre realtà produttive pubbliche che costavano molto e non producevano gran che. Anche se per l’università il “mercato” che assorbe c’è, solo che non è in Italia, e il “prodotto” viene regalato.

La scarsa considerazione per il sistema universitario è un sintomo; la causa è un sistema produttivo (e politico) che richiede manodopera a buon mercato e a bassa qualificazione, magari facilmente ricattabile, tipo i migranti. I laureati non servono, con le loro pretese: che vadano all’estero. Se fossimo almeno furbi (di intelligenza neanche l’ombra), visto che i nostri laureati sono ambiti, potremmo negoziare con il resto d’Europa: noi produciamo laureati a vostro vantaggio; sarebbe giusto che foste voi, e non l’Italia, a sostenere la “fabbrica” da cui traete profitto. Le nostre università sono già hub di alta formazione per il mercato straniero che assorbe i nostri laureati: facciamo in modo che i costi siano sostenuti da chi usa il “prodotto”, e smettiamo di regalarlo.

Temo che si tratti di ragionamenti troppo difficili, visto che è in via di ridimensionamento anche il sistema sanitario, parte del sistema universitario: i medici sono laureati e si formano in cliniche universitarie. La denigrazione incessante dei professori universitari rinforza la convinzione che le università siano realtà parassitarie, da ridimensionare, come l’Agip che Matteri avrebbe dovuto smantellare. Avendo fatto parte della categoria, posso dire che oggi la qualità dei prof. italiani è molto superiore rispetto a 20 o 30 anni fa, visto che le persone che si formano con questa classe docente trovano lavoro all’estero, inclusi i medici. Se fossimo schiappe nullafacenti, i nostri laureati sarebbero privi di attrattive per il mercato mondiale. Non lo sono. Sono i nostri sistemi produttivi ad essere inadeguati, non i sistemi di formazione.

L’alta innovazione richiede imprese di grandi dimensioni, noi le avevamo e le abbiamo smantellate, per lasciare il campo a piccole e medie imprese che non si possono permettere il rischio di innovare. La fuga dei cervelli, la scarsità di laureati e la denatalità, di cui ci preoccupiamo, sono solo sintomi: dobbiamo metter mano alle cause. Se c’è un paese che ha bisogno di un Piano Mattei, quello è l’Italia!

Nota al post precedente. I Democratici hanno messo da parte Biden: non voterei più Trump!

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Scuola, insegnanti di sostegno contro il decreto del governo che li danneggia: “È un condono, ci sentiamo vessati dal Ministero”

next
Articolo Successivo

Nuovo anno scolastico, ecco perché a settembre sarà già caos per le cattedre

next