La vita non gli ha regalato nulla. Anzi, gli ha tolto tanto. E già fare il giocatore può essere considerato un privilegio: Aymen Hussein è iracheno, gioca per i qatarioti dell’Al-Khor e a 28 anni si è regalato una bellissima luce in una vita fatta di tante ombre. Suo malgrado. E anche se la sua Nazionale ha perso 3-1 nella partita contro l’Argentina di oggi alle Olimpiadi, la sua rete significa tantissimo.

Il calvario – 2014: Aymen e la sua famiglia devono scappare dal loro villaggio. Sono a Kirkuk, nord dell’Iraq, una regione sotto attacco dall’Isis. Lo Stato islamico è in guerra contro il governo Abadi e il fratello di Aymen, poliziotto, viene rapito e scompare nel nulla. Senza lasciare traccia. Ai tempi, Hussein aveva vent’anni e giocava nel Duhok, nel Kurdistan iracheno. E non era nemmeno il primo episodio. Perché nel 2008 a causa di un raid di Al-Qaeda era rimasto ucciso anche il padre. “Non so se la mia famiglia incontrerà ancora il terrorismo nella sua strada” raccontava nel 2016. “Eppure -aggungeva – mi ritengo un uomo fortunato”.

I precedenti – Senza volerlo Hussein è diventato un simbolo. Perché già una volta le Olimpiadi gli avevano regalato un grande sorriso: un anno e mezzo dopo la scomparsa del fratello, infatti, un suo gol contro il Qatar aveva regalato all’Iraq la qualificazione a Rio de Janeiro. In quelle di Parigi di quest’anno, invece, il suo Iraq ha vinto contro l’Ucraina all’esordio. Poi ha perso contro l’Argentina, ma la sua rete è stata comunque una luce. Che in qualche modo permette di raccontare la sua storia.

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