“Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale. Erano frasi senza senso. Temevo che Filippo si suicidasse”. Nicola Turetta chiede scusa le frasi intercettate dagli investigatori nel colloquio avuto con il figlio il 3 dicembre scorso nel carcere di Verona. Conversazione che è stata recentemente pubblicata da diversi giornali. Il padre di Filippo, il giovane in carcere perché reo confesso del femminicidio di Giulia Cecchettin e in attesa del processo che inizierà il 23 settembre, racconta al Corriere della Sera il contesto di quel colloquio: “Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio. Quegli instanti per noi erano devastanti. Non sapevamo come gestirli. Vi prego, non prendete in considerazione quelle stupide frasi. Vi supplico, siate comprensivi“, sottolinea Nicola Turetta.

“C’erano stati tre suicidi a Montorio in quei giorni. Ci avevano appena riferito che anche nostro figlio era a rischio – continua il padre di Filippo – non ho dormito questa notte. Sto malissimo. Sono uscito di casa per non preoccupare ulteriormente mia moglie e l’altro mio figlio. Ora si trovano ad affrontare una gogna mediatica dopo quel colloquio pubblicato dai giornali – ha spiegato – Io ed Elisabetta avevamo appena trovato la forza di tornare al lavoro. Abbiamo un altro figlio a cui pensare, dobbiamo cercare di andare avanti in qualche modo, anche se è difficilissimo. Domani chi avrà il coraggio di affrontare gli sguardi e il giudizio dopo quei titoloni che mi dipingono come un mostro. Ero solo un padre disperato. Chiedo scusa, certe cose non si dicono nemmeno per scherzo, lo so. Ma in quegli istanti ho solo cercato di evitare che Filippo si suicidasse”.

“Filippo ora si rende conto di quello che ha fatto. Siamo riusciti infatti ad affrontare l’argomento. Vuole scontare la sua pena. Non ha nessuna speranza o intenzione di sottrarsi alle sue responsabilità – continua Nicola Turetta- Non pronuncerei più quelle parole, ma era un tentativo disperato di evitare un gesto inconsueto. Mi dispiace davvero tanto. Provo vergogna per quelle frasi, non le ho mai pensate”.

Era il 3 dicembre scorso quando lui e la moglie incontravano per la prima volta, dopo l’omicidio e la fuga in Germania, il figlio reo-confesso, nella saletta del carcere. “Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista. Devi farti forza. Non sei l’unico. Ci sono stati parecchi altri. Però ti devi laureare..” diceva il padre Nicola al figlio.

La pubblicazione dei contenuti di quella conversazione ha causato diverse reazioni. Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, sabato è intervenuta, attraverso i social, ribadendo il problema della normalizzazione dei femminicidi che avviene nei contesti patriarcali. Il mondo politico si è diviso tra chi condannava quelle frasi e chi, invece, criticava la decisione di pubblicare quella conversazione privata. Per il segretario dell’Unione Camere Penali, Rinaldo Romanelli, “crocifiggere queste persone che stanno vivendo una tragedia è immorale“. Per l’organizzazione che rappresenta gli avvocati penalisti quanto avvenuto è “un fatto grave”: “Non aggiunge nulla alle indagini né alla cronaca, si tratta solo di voyerismo fuori luogo”.

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