“Ci troviamo in una situazione peggiore di quella di nove anni fa, quando l’obiettivo di sradicare la fame entro il 2030 venne ufficialmente assunto”. Sono le parole di David Laborde, economista della FAO e autore del rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World 2024 sulla fame nel mondo e la sicurezza alimentare recentemente pubblicato dalle Nazioni Unite in occasione del prossimo vertice G20 in Brasile. E l’obiettivo di cui parla è il secondo nell’elenco in vista del 2030.

Una situazione, quella delineata dagli esperti dell’Onu, che mette in risalto una netta stagnazione dei progressi su sicurezza alimentare e malnutrizione rispetto agli ultimi anni e che disegna una situazione che sembra assomigliare a quella che si riscontrava a cavallo fra 2008 e 2009, tanto che l’obiettivo reale di sconfiggere la fame entro il 2030 sembra ormai compromesso, salvo un radicale cambio di passo e un rinnovato impegno globale. L’unico ambito in cui si è registrato un concreto miglioramento rispetto ai singoli obiettivi prefissati è quello del tasso di allattamento esclusivo al seno che ha raggiunto il 48% dei neonati.

Sono principalmente conflitti, instabilità economica e cambiamento climatico le cause che nel 2023 hanno portato 2,33 miliardi di persone a fare i conti con un’insicurezza alimentare di vario grado, costringendo alla fame ben 733 milioni di persone (circa una persona su 11 a livello mondiale) e quasi il 29% della popolazione mondiale a saltare occasionalmente i pasti. Secondo il rapporto, dal 2022 al 2023 il fenomeno della fame si è aggravato nell’Asia occidentale, nei Caraibi e nella maggior parte delle sotto-regioni africane e, se le tendenze attuali non accenneranno a cambiare, entro la fine del secolo saranno circa 582 milioni gli individui che si troveranno in uno stato di denutrizione cronica, metà dei quali in Africa che è già oggi il continente più colpito con una persona su cinque che soffre la fame. La distribuzione geografica della popolazione colpita da malnutrizione continua infatti ad aumentare in Africa (20,4%), rimane stabile in Asia (8,1%), dove però è concentrata più della metà degli affamati del mondo, e mostra dei segni di leggero miglioramento in America Latina (6,2%).

Il rapporto, redatto da cinque agenzie che sono rispettivamente l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma, il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo delle Nazioni Unite, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), l’Organizzazione mondiale della sanità e il Programma alimentare mondiale, si sofferma anche sulla qualità dell’alimentazione asserendo che nel 2023 un terzo della popolazione mondiale non ha avuto accesso regolare a cibo sano.

Sul fattore qualitativo incide pesantemente il livello di reddito dei Paesi interessati. Le stime aggiornate hanno mostrato che lo scorso anno nei Paesi a basso reddito il 71,5% delle persone non era in grado di permettersi una dieta sana, contro il 6,3% dei Paesi ad alto reddito. A differenza delle carestie, che sono facilmente individuabili e su cui è più facile intervenire con tempestività, puntualizzano gli autori del rapporto, gli effetti di una cattiva alimentazione nel lungo periodo hanno un impatto negativo sullo sviluppo fisico e mentale di bambini e neonati e possono rendere gli adulti più esposti a infezioni e malattie.

“La sicurezza alimentare – aggiunge Laborde – richiede più sforzi della semplice distribuzione di sacchi di riso e farina in situazioni di emergenza”. In primis, secondo il rapporto, è necessario uno sforzo maggiore per sostenere piccoli agricoltori delle aree rurali e garantire loro accesso a fonti energetiche per elettrificare i sistemi di irrigazione. Ma i pilastri più importanti in vista di un netto miglioramento rimangono due: le risorse economiche e il coordinamento degli sforzi. Secondo le stime monetarie, per raggiungere l’obiettivo fissato al 2030 è necessaria una cifra economica che va da 176 miliardi a 3,98 trilioni di dollari da impiegare nel settore e soprattutto un maggiore coordinamento degli sforzi di tutte le agenzie internazionali e i gruppi di aiuto che, secondo il rapporto, costituiscono una “proliferazione eccessiva di attori che realizzano per lo più progetti di piccole dimensioni e a breve termine”. Un insieme di azioni quanto mai necessarie dal momento che “il costo dell’inazione supera di gran lunga il costo dell’azione richiesta dal presente rapporto”.

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