Il governo Meloni sostiene ufficialmente di tutelare l’11,6% dei mari italiani, includendo in questa quota anche il Santuario Pelagos e i Siti di interesse comunitario. In realtà, però, queste sono aree in cui non vengono messe in atto misure di gestione o limitazione degli impatti generati dall’uomo e dove è ancora permessa la pesca intensiva, nonostante siano individuate e definite importanti per la loro biodiversità. Il risultato? “Meno dell’1% dei mari italiani è sottoposto a misure di tutela efficaci e appena lo 0,04% rientra nel computo delle aree in cui è vietata qualsiasi tipo di attività, inclusa la pesca”. È quanto emerge da un’indagine di Greenpeace Italia che, identificando le aree protette, smentisce le stime governative. E sottolinea che il Paese è lontano dall’obiettivo 30×30 che si è impegnata a realizzare e che prevede la protezione di almeno il 30% dei nostri mari entro il 2030, di cui il 10% con aree a protezione integrale.
Specie marine e conservazione – Il Mediterraneo ospita circa 17 mila specie, pari all’8% delle specie del mondo, di cui il 20% endemica. Nel 2023 la Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia, per non aver adottato misure adeguate a proteggere diverse specie marine e di uccelli nei Siti di interesse comunitario – Natura 2000 designati per la loro conservazione. “Chiediamo all’Italia di istituire un network di aree marine protette che preveda strumenti di conservazione efficaci e di ratificare il prima possibile il Trattato Onu per la protezione degli oceani” commenta Valentina Di Miccoli, campaigner Mare di Greenpeace Italia. Durante la sua recente spedizione nel mar Mediterraneo, la ong ha documentato lo stato di salute di aree protette, come Bergeggi, e aree non protette, come l’isola di Gallinara, entrambe in provincia di Savona, per mostrare il ruolo che hanno le prime nella conservazione del nostro mare.
L’indagine sulle aree marine protette e i “parchi di carta” – Stando ai dati dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il Governo attualmente comprende nella quota della protezione del 30% tutte le Aree marine protette, il Santuario Pelagos e tutti i Siti di interesse comunitario. “Un’area di mare grande come due volte la Puglia per estensione, ma disseminata a macchia di leopardo lungo tutto il nostro mare, all’interno della quale vigono regole profondamente differenti” spiega la ong. Greenpeace, infatti, ha mappato le Aree marine protette italiane, i Parchi nazionali che prevedono zone di protezione marina, i Sic e il Santuario Pelagos, analizzando le tipologie di tutela presenti per verificare se la protezione dichiarata corrispondesse a quella effettiva (qui la mappa interattiva). “Si possono considerare effettivamente protette solo le aree in cui sono presenti una governance efficace e chiari vincoli sulle attività da svolgere (pesca inclusa)” spiega la ong, dal cui studio è emerso che lo sono solo le Aree marine protette e i Parchi Nazionali Marini attraverso regolamenti stringenti in grado di tutelare effettivamente la biodiversità marina. “Inserire i ‘parchi di carta’ nel calcolo del 30% rappresenta una scappatoia del governo italiano. Senza misure di gestione e una governance delle aree marine non vi è nessuna tutela effettiva” spiega Valentina Di Miccoli.
In Italia tutelato meno dell’1% dei mari – La ong ha realizzato una mappa interattiva, che mostra come solo nello 0,04% dei nostri mari è vietata ogni attività di pesca, una percentuale che, in base agli impegni presi dall’Italia, dovrebbe toccare almeno il 10% entro il 2030, per avere aree rigorosamente protette. Inoltre, solo lo 0,9% risulta tutelato con regolamenti e vincoli delle attività consentite, inclusa la pesca. Per realizzare l’obiettivo 30×30, stando a questi numeri, l’Italia dovrebbe quindi sottoporre a misure di conservazione altri 102 mila chilometri quadrati di mare, ovvero circa 14,5 mila chilometri quadrati all’anno in più da oggi al 2030. “Siamo molto lontani dall’obiettivo di protezione del mare che dobbiamo raggiungere entro la fine del decennio. Attualmente le aree marine protette sono poche, troppo piccole e senza un sistema di gestione integrata. Quindi non solo servono più Amp, ma occorre che siano meglio gestite e più funzionali” ha commentato Carlo Nike Bianchi, professore e ricercatore di Ecologia marina dell’Università di Genova.
Il confronto sulle aree marine protette e quelle non tutelate – Durante la sua recente spedizione nel mar Mediterraneo, Greenpeace Italia ha documentato lo stato di salute dell’Area marina protetta di Bergeggi e dell’isola di Gallinara (che, invece, non è una Amp) entrambe in provincia di Savona. “Le due aree, anche solo a un primo controllo visivo, mostrano le differenze tra aree soggette a tutela e non. Nell’area di Gallinara – racconta Greenpeace – sono evidenti gli impatti antropici dovuti a uno sfruttamento della zona senza nessun tipo di regolamentazione. Sott’acqua più volte sono stati individuati attrezzi da pesca abbandonati e diversi rifiuti, i pesci presenti erano pochi e di piccole dimensioni”. Bergeggi al contrario, nonostante sia poco distante da Gallinara è risultata molto meno impattata e con una popolazione ittica ricca e diversificata, con molti esemplari di cernie e corvine di grandi dimensioni. Secondo la ong “Gallinara è l’esempio di come la mancata tutela e gestione degli impatti antropici abbiano portato l’area ad essere sovrasfruttata e danneggiata negli anni”. Si tratta di una piccola isola nel Mar Ligure che venne inserita in una lista di proposte di Aree marine protette nel lontano 1991, ma il cui iter di istituzione non è mai stato completato e, ad oggi, ancora non risulta protetta. “I conflitti tra Regione e Stato e la mancanza di interesse proattivo da parte del Comune competente hanno ostacolato l’istituzione dell’Area marina protetta, nonostante i ripetuti accordi formali” spiega la ong. Nel 1995 è stato istituito anche il Sito di interesse comunitario – fondali ‘Santa Croce – Gallinara – Capo Lena’, che non prevede però nessun piano di gestione e non ha portato a nessun risultato in termini di protezione effettiva. Gli studi sullo stato di salute del mare di Gallinara hanno mostrato come negli anni (dal 1991 al 2016) ci sia stata una drammatica alterazione del fondale, con una diminuzione delle specie presenti e quindi perdita di biodiversità. Al contrario, l’isola di Bergeggi, nonostante sia divenuta Amp solo nel 2007, grazie alle efficaci misure di protezione, di monitoraggio e ricerca scientifica rappresenta un’area ricca di biodiversità e ben gestita”.